Ill.ma Redazione,
con la presente mi permetto di sottoporVi alcuni personali considerazioni circa il progetto presentato qualche giorno fa ad opera di Regione Lombardia che prevede “l’espansione” dei Piani di Bobbio e di Artavaggio, focalizzandomi in particolar modo su questa seconda località. Ciò perché sono fermamente convinto che costruire impianti di risalita e riportare lo sci su pista a Artavaggio rappresenta una follia assoluta e, per molti versi, una forma di violenza inaccettabile verso un luogo speciale che non se lo merita affatto.
Spiego perché.
Quando io e gli amici-colleghi di penna Sara Invernizzi e Ruggero Meles abbiamo scritto la guida della Dorsale Orobica Lecchese, la “Dol dei Tre Signori“, tra i punti fermi da non tralasciare ci siamo dati quello di scrivere della storia recente ovvero della sorprendente rinascita dei Piani di Artavaggio, fino ai primi anni Novanta rinomata stazione sciistica e poi – così abbiamo scritto e potete leggere nel volume,
“Complici annate sempre meno nevose, crisi finanziarie e la concorrenza di altre stazioni sciistiche ben più attrezzate e rinomate, con la neve sparirono gli impianti di risalita e addirittura si chiuse la funivia; nella conca tornarono per anni il silenzio invernale e lo scampanare delle mucche in estate. Nel 2006 la funivia è stata riaperta, gli skilifts smantellati e sono stati installati semplici tapis roulant per bambini e principianti; nondimeno Artavaggio ha goduto di una rinascita per certi aspetti sorprendente, rappresentando nel suo piccolo un caso emblematico di una fruizione post-sciistica e sostenibile della montagna che può fare da modello a numerose altre località, un tempo sedi di impianti e piste, che negli anni recenti hanno subìto una sorte simile e il conseguente oblio turistico. Oggi si è ormai consolidata come una meta molto frequentata da chi pratica lo sci alpinismo, le ciaspolate o da famiglie che con semplici passeggiate sulla neve possono raggiungere i numerosi rifugi ai piedi della suggestiva piramide del Monte Sodadura, autentico simbolo del territorio”.
Artavaggio è diventato un modello di rinascita post-sciistica così interessante da suscitare l’interesse di molti studiosi delle tematiche legate al turismo e allo sviluppo dei territori montani. Alcuni di essi mi hanno contattato per avere più informazioni al riguardo, sapendo che fossi della zona, e personalmente lo scorso anno ci ho accompagnato un amico ricercatore torinese che sta scrivendo un testo sulla fine dello sci su pista in molte località delle Alpi italiane, il quale mi ha chiesto espressamente di conoscere e vedere di persona il luogo: abbiamo raccolto ricordi, documentazioni e testimonianze, parlato con i rifugisti storici dei Piani, constatato quanto la località sia oggi amata proprio per la sua ritrovata genuinità montana – al netto di quei pochi tapis roulant presenti ad uso dei principianti, ben poco invasivi rispetto agli impianti di risalita veri e propri soprattutto per degli spazi così aperti, prativi e pressoché privi di vegetazione arborea come quelli di Artavaggio.
Provate a salire ai Piani di Artavaggio con la funivia che parte da Moggio in un weekend invernale di bel tempo o in una domenica estiva: vi dovrete sobbarcare una lunga coda e parecchia attesa. Chiedetevi perché tutte queste persone salgano ad Artavaggio e non ai vicini Piani di Bobbio, località totalmente dedicata allo sci su pista con tutti gli annessi e connessi. O, meglio ancora, chiedetelo direttamente a loro, ai gitanti, perché preferiscano Artavaggio. Poi, superata la valletta nella quale sono piazzati i tapis roulant, esplorate gli ampi pendii prativi, innevati d’inverno, che salgono verso le balze dolomitiche dei Campelli e la piramide del Monte Sodadura, con alle vostre spalle il panorama eccezionale delle Grigne, del Resegone e laggiù la Pianura Padana fino alle dorsali appenniniche… Contemplate la “montagna” che vi ritroverete intorno nel suo senso più compiuto e priva degli elementi di disturbo (visivo e acustico) così presenti altrove, dove il turismo meccanizzato la fa da padrone, e capirete il successo dei Piani di Artavaggio, capirete perché sono rinati e perché siano così tanto apprezzati.
Ora, spero, capirete anche perché installare nuovamente impianti di risalita e pretendere di riportare lo sci su pista ai Piani di Artavaggio (a 1.600 m di quota con un’esposizione sfavorevole dei pendii, peraltro, sui quali ben difficilmente nevicherà ancora come un tempo – ma c’è bisogno di dire nuovamente del clima che ci aspetta?) rappresenta una dissennatezza assoluta, una totale mancanza di conoscenza della storia del luogo e delle sue peculiarità, una prepotenza inutile e dannosa messa in atto per interessi totalmente avulsi dal luogo e della sue reali necessità nonché, come ho accennato all’inizio, una vera e propria violenza, materiale e immateriale, alla ritrovata vitalità di un luogo diventato un modello di autentica rinascita alpina. Significa “accoltellarne” alle spalle lo spirito e l’identità, significa soffocarne le potenzialità presenti e future, forse perché ritenuti elementi scomodi e fastidiosi rispetto alle scriteriate ossessioni impiantifere, un po’ olimpiche e un po’ elettorali, manifestate da certi amministratori pubblici. Tutto questo, per giunta, con la realtà climatica che stiamo affrontando e ci aspetta nei prossimi anni, che evidentemente lorsignori non vedono e non conoscono perché, forse, vivono su un’astronave in orbita attorno a un altro pianeta dalla quale la realtà dei fatti, quaggiù, appare così lontana da risultare invisibile e inconoscibile!
Adesso capite pure perché i promotori del progetto in questione non hanno capito nulla?
Quello imposto ai Piani di Artavaggio è un progetto che rappresenta una follia assoluta, non ci sono altre definizioni adeguate. Una follia da contrastare in ogni modo possibile.
Luca Rota
scrittore, fotografo e blogger lecchese
http://www.lucarota.it/
https://lucarota.com/
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