La parabola che Gesù ci propone nel Vangelo di oggi ha degli aspetti drammatici che non ci aspetteremmo da Gesù, specialmente là dove il Re, che raffigura Dio, fece uccidere gli invitati e incendiare le loro città, dopo che questi avevano rifiutato il suo invito e uccisi i suoi servi. Proprio in questa drammaticità possiamo però cogliere un primo insegnamento: l’importanza dell’invito che il Padre rivolge a noi uomini, per una vita di comunione con Lui e con Gesù, e la possibilità di un nostro drammatico e rovinoso rifiuto: se Dio c’è, cosa ci po’ essere di più importante, non solo per Dio, ma per noi stessi, che accogliere l’invito ad una vita di comunione con Lui? Se pensiamo alla promessa delle beatitudini, quale stoltezza nel rifiutare la consolazione e la comunione con sé che Dio ci offre, per cercare invece le consolazioni brevi o addirittura false che il mondo propone.
Ma la parabola contiene anche un messaggio di universalità che ascoltiamo volentieri sulle labbra di Gesù: dopo il rifiuto dei primi invitati, il Re mandò i suoi servi a invitare tutti al pranzo per le nozze del figlio: tutti, cattivi e buoni.
Il desiderio del Re e il suo invito non dipendono dal merito degli invitati: anche i cattivi sono invitati, come i buoni.
Nella realtà: Gesù è venuto a noi come inviato dal Padre per chiamare non i giusti ma i peccatori; e, per questo, quante critiche ricevette.
Tornando alla parabola, il Re fece chiamare tutti: cattivi e buoni: verrebbe da chiedersi: ma allora a cosa serve essere buoni?
Troviamo la risposta nell’abito nuziale: un uomo ne era privo
e, nonostante anche lui fosse stato invitato, venne gettato fuori.
Cosa significa di così importante “l’abito nuziale”?
Potremmo spiegarlo con le parole che diciamo nell’atto di pentimento: “Non ti avessi mai offeso!” e che esprimono il rincrescimento per averlo offeso.
Pochi peccati li sentiamo come offesa fatta a Gesù come ad esempio la bestemmia; ma dovremmo ricordare come ogni bene o male fatto a un fratello Gesù lo ritiene fatto a sé.
Questi sentimenti dovrebbero trovare espressione concreta nel sacramento della Confessione.
In particolare, noi cerchiamo il perdono perché ci disturba il senso di colpa; ma la confessione è molto di più: è poter esprimere al Signore il dispiacere per non averlo amato, e il desiderio di amarlo da qui in avanti.
Rimpianto per non aver amato Gesù, o umile gioia per averlo amato sono la stessa porta per poter entrare e partecipare alla gioia del Regno.
Don Gabriele
Vicario parrocchiale