DON GABRIELE COMMENTA IL VANGELO DELLA SESTA DOMENICA DI AVVENTO



In quest’ultima domenica di Avvento, detta dell’Incarnazione, la Liturgia ci fa celebrare la Divina Maternità di Maria. Senza bisogno di fantasticare, ma aiutati dalla stessa Parola di Dio, possiamo pensare a ciò che celebriamo in questa festa ricorrendo a un’immagine suggeritaci dal libro della Apocalisse, in cui il Signore dice: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Apoc. 3,20). Lo immaginiamo bussare alla porta di questa nostra umanità; bussa, ma dentro si è intenti ad altro: non c’è né tempo né posto per un intruso: è d’intralcio ai nostri progetti di crescita e di felicità; e se è Dio, è diventato muto davanti ai nostri gridi di dolore: non ci serve più, ci arrangiamo da soli.

Potrebbe sfondare quella porta e invece bussa, perché non vuole imporsi ma proporsi: solo così la sua presenza potrà essere percepita non come invadente, ma come amica.

Bussa a tutta l’umanità, cercando uno spiraglio dal quale poter far entrare la sua presenza amica, la sua parola di consolazione, una speranza e una gioia vere: di far sentire agli uomini che Dio è Padre per loro, li ama e gioisce per loro.

Bussa alla porta di tutta l’umanità perché bussa alla porta di ciascuno: oggi celebriamo quando ha bussato a Maria.

In lei l’attesa per il compimento delle promesse di Dio non è stata soverchiata e spenta dalla frenesia e dalle banalità del mondo; in lei Dio ha trovato quel varco per poter entrare nella nostra umanità, non di forza ma perché accolto,

Il sì di Maria è stato quel varco.

In lei il Figlio di Dio ha potuto prendere carne come l’abbiamo noi, così che una creatura, Maria, è diventata Madre di Dio. Sta qui la ragione per la quale Maria ha tanta importanza nella nostra fede cristiana.

Anzitutto Maria dà alla nostra fede, alla nostra preghiera, al nostro rapporto con Dio quella nota di umanità e di familiarità di cui abbiamo tanto bisogno per sentire che Dio non è qualcosa d’indefinito e lontano, ma è persona e ci è vicino.

Potremmo dire che Maria è la risposta dataci da Dio al nostro bisogno di “carnalità”: Gesù è Dio fatto carne in Maria, e Maria ha potuto tenerlo come un figlio da lei nato: le sue cure, i suoi gesti di affetto, anche le sue lacrime, sono i gesti verso Gesù che facciamo anche nostri.

Abbiamo bisogno di pensare alle cure e alle carezze date da lei a Gesù: ci sembra di poterlo accarezzare anche noi; abbiamo bisogno nei nostri momenti bui della fede della sua angoscia quando non trovava Gesù; abbiamo bisogno delle sue lacrime di madre sul Calvario per saper piangere con lei lacrime sincere di dolore e di amore; abbiamo bisogno di camminare con lei nelle difficoltà della vita presente, sorretti dalla sua fede e dalla sua sicura speranza, nel tratto di strada per arrivare al Cielo.

Don Gabriele
Vicario parrocchiale

 

 

 

 

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