BARZIO – 35 anni fa, il 14 marzo 1988, la Comunità Montana acquistava il complesso decadente della Fornace Merlo in località Pratobuscante. Su quel terreno tra Barzio e Pasturo oggi sorge la sede dell’ente e trovano ospitalità i grandi eventi del territorio. Dietro a questo risultato però ci fu una visione politica che, in occasione dell’anniversario, facciamo raccontare ai protagonisti di allora.
> QUI LA PRIMA PARTE
…E in grande si ragionò.
La Comunità Montana si sarebbe insediata nella ristrutturata Villa Merlo mentre la fornace vera e propria (oggi museo) e gli essiccatoi che la circondavano (oggi demoliti) sarebbero stati recuperati e adibiti ad ospitare una Sagra delle Sagre permanente, proseguendo nell’intenzione di Renato Corbetta, ideatore della kermesse ferragostana della valsassina, animata dalle realtà artigianali e commerciali locali, in quegli anni ancora numerose e floride.
Si volle dare particolare attenzione alla filiera casearia: “In Tirolo, proprio in quel periodo – ripesca dalla memoria Ferrari – fui colpito da una ‘casa del latte’, “Kutel“dove i visitatori, le scolaresche innanzitutto, potevano assistere alla filiera, dalla mucca al pascolo alla mungitura fino al vasetto di yogurt. Perché non riproporlo a Pratobuscante?”.
E poi i prati, da tutelare e dedicare ad eventi di grande richiamo.
Inizia quindi la trattativa, servono 388 milioni di lire. A comporre la cifra partecipano soprattutto la Provincia di Lecco e la Camera di Commercio di Vico Valassi, perledese, con 170 milioni ciascuno; 100 milioni li mise la Banca Popolare di Lecco, 20 milioni il Credito Valtellinese e 9 milioni le Casse Rurali locali. In totale 469 milioni. 81 più del necessario che con gli altri 80 già a disposizione della Comunità Montana servono per acquistare le aree intorno al complesso industriale.
È il dicembre 1987 e a pochi giorni dalla firma dal notaio l’imprevisto: complicazioni burocratiche mettono a rischio tutta l’iniziativa.
Le parti si trovarono costrette a ricostruire nel dettaglio il passaggio di proprietà tra i Merlo e il venditore Pigazzi. “Per colpa della confusione e della burocrazia di quegli anni tutta la trattativa sarebbe potuta andare in fumo – ammette Ferrari – se non che nella nostra maggioranza a Barzio c’era proprio la signora Lesotto, moglie di ‘Richetto’. Riprendere in mano le carte con diversi inconveniente non secondari fu comunque un grosso problema. Con discrezione ci vennero in aiuto don Alfredo Comi e l’allora presidente della Banca della Valsassina Gianni Valsecchi. Tutto si appianò grazie alla fiducia che riponevano nel progetto e in chi lo guidava”.
Si arriva così a marzo 1988, il 14. Con la firma di fronte al notaio Giulio Donegana a Lecco la Comunità Montana diventa proprietaria della Fornace Merlo e di tutta l’area di competenza. Ora ha una sede funzionale, prestigiosa, riconoscibile.
Non tutti i piani iniziali però si realizzano. “Con i colleghi l’impegno era verso qualcosa che fosse simbolo e nel contempo espressione dell’energia dei valsassinesi, dispiace oggi vedere che non ha avuto seguito – commenta Magni -. Fu come iniziare un viaggio e non arrivare alla fine”. Dopo il trambusto dei primi anni Novanta infatti nuovi partiti, nuove esigenze e nuove ambizioni cambiarono la strada tracciata. L’idea di un pubblico-privata per gestire una Sagra delle Sagre stabile e permanente venne abbandonata, gli storici essicatoi, testimonianza di archeologia industriale, furono abbattuti e persi per sempre, e il museo tornò in auge solo di recente, sotto altre vesti. Inoltre la Comunità Montana invece di accasarsi a Villa Merlo volle costruirsi uno stabile ex novo e con esso sui prati da tutelare comparvero ulteriori edifici.
“Inseguivamo un sogno, non un telefonino – chiosa Magni -. Ci eravamo fatti interpreti dei sogni, dell’entusiasmo e della determinazione tipica dei valligiani. È stato bello fare qualcosa partendo dal valore di ognuno. Dimostrammo di saper superare personalismi, campanili e convenienze di bottega. La Sagra delle Sagre così come l’avevamo immaginata, non più occasionale ma che garantisse continuità attrattiva all’economia locale, è la stessa filosofia che oggi si rivela vincente per molti imprenditori privati capaci di vivere di turismo tutto l’anno”.
“E su cui noi eravamo arrivati prima, già negli anni Settanta – prende la parola Ferrari -. La tutela ambientale messa su quell’area ha garantito il fiorire della Sagra ma ha pure consentito al Nameless di portare in Valle fuori stazione decine di migliaia di giovani. Eravamo diversi tra noi ma capaci di metterci insieme per fare della politica vera. Avevamo disponibilità economiche forse maggiori di oggi ma senza intuizione il denaro non crea nulla, ed è un po’ quello che mi sembra stia accadendo oggi: avere in mano un tesoro col rischio di trasformarlo in paglia”.
“Di quella esperienza – prosegue l’allora presidente Ferrari – resta la consapevolezza, senza presunzione, di aver agito per il bene della Valle. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la fornace oggi è un bene collettivo, a disposizione di tutti, unico caso forse nelle valli alpine lombarde. Così come la pista ciclabile, progettata dal direttivo che ho avuto l’onore di presiedere, e la tutela con vincolo inamovibile posto sul canalone di Balisio, biglietto da visita per chi accede alla nostra straordinaria Valle”.
“Mi aspetto che chi governa oggi prosegua nella tutela del fondovalle. Barzio si è dotato di un Plis ma ancora manca la normativa applicativa, è un vuoto pericoloso. Avevamo un motto: ‘Servire le istituzioni e non servirsene‘ – conclude Ferrari – ma vedere le cose con 35 anni di anticipo non ha aiutato quella squadra a restare in politica. Se guardi avanti la politica non ti tollera”.
Cesare Canepari
Contributo documentale e fotografico dall’archivio Alvaro Ferrari per Valsassinanews
QUI LA PRIMA PARTE DEL NOSTRO RACCONTO: