Mentre domenica scorsa, festa della Santissima Trinità, il Vangelo ci aveva introdotti nella vita intima di Dio, oggi ci dice come dobbiamo vivere fra noi. C’è però un legame fra i due aspetti: ripetutamente Gesù dice: “perché siate figli del Padre vostro che è nei cieli”: la vita intima di Dio, alla quale noi siamo resi partecipi come figli, è la sorgente e il modello della nostra vita morale.
“Avete inteso che fu detto…”: Matteo introduce con queste parole gli insegnamenti di Gesù riguardo all’uccidere il proprio fratello, all’adulterio, al giurare, alla vendetta; il brano di oggi riguarda il comportamento verso i propri nemici.
Il riferimento all’antica legge ebraica, anch’essa voluta da Dio, dice la gradualità con la quale Dio ha educato il suo popolo.
Andava anzitutto affermata una esigenza di giustizia riparatrice del male fatto, senza però alcuna esagerazione.
Gesù però aggiunge: “ma io vi dico…”: non annulla la legge antica, ma la supera e la porta a compimento.
C’è un “oltre” anche alla giustizia: ed è la misericordia.
Ancora una volta viene alla mente la parabola del figliol prodigo nella quale, in quel padre, il sentimento della giu-stizia è superato dalla gioia di poter usare misericordia: ha lasciato sperperare dal figlio metà dei propri beni pur di poter esprimere la propria misericordia; come Dio Padre che ha dato perfino suo Figlio sulla croce per poter usare a noi misericordia e così riaverci come figli.
Amare i propri nemici è molto più di quello che tante volte si dice: “perdono, ma non dimentico”.
Non può essere un semplice dimenticare un male fatto; perciò deve partire dal desiderio di cambiamento di chi ha compiuto quel male, perché neppure lui vada perduto: è questo il desiderio di Gesù e del Padre.
Quanta sofferenza c’è, a volte, nell’amare i propri nemici, specialmente quando si è colpiti personalmente in modo grave.
Quanto ci è stata di esempio la preghiera fatta da Rosaria Schifani, moglie dell’agente Vito Schifani, morto nell’attentato fatto a Giovanni Falcone, quando fra le lacrime diceva: “Rivolgendomi agli uomini della mafia… Sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare… Ma loro non vogliono cambiare…”.
Amare i nemici, pregare per chi ci fa del male non sono banalità: richiedono purificazione dei propri sentimenti, tempo, lacrime, a volte l’incomprensione di chi ci sta vicino; ma così è il cuore del Padre e solo così si può far parte del suo Regno, ed essere, già da ora, nella pace.
Don Gabriele
Vicario parrocchiale