SELLANO (PG) – “I primi segnali, ancor prima dell’apertura del ponte, sono positivi, con l’arrivo di nuovi residenti e l’apertura di attività. Si tratta ora di amministrare saggiamente le risorse e concepire i prossimi passi in modo sistemico e coordinato, con un piano a medio-lungo termine”. Il ponte tibetano di cui si parla non è quello del quale si sta ragionando in Valvarrone, bensì quello già progettato e in corso di realizzazione a Sellano, in Umbria – rendering in copertina e nella foto a destra.
La realtà della quale riferisce un consigliere comunale della località nel Centro Italia è molto simile a quella del territorio della Valvarrone: 965 abitanti, situato a 640 metri di altitudine lungo una valle (del torrente Vigi, affluente di destra del fiume Nera).
Le informazioni in materia sono state pubblicate di recente da Roberto Battista, di Sellano appunto, a commento di un lungo intervento nel blog del lecchese Luca Rota – lo stesso dal quale abbiamo preso spunto per un articolo che ha suscitato numerosissimi commenti e non poche polemiche. Con prese di posizione e confronti, fino all’ultima di oggi a firma del sindaco della Valvarrone Luca Buzzella (vedi su VN).
Pubblichiamo di seguito in forma integrale l’intervento del consigliere umbro, sostanzialmente favorevole ma “con riserva”. Lo riteniamo estremamente utile al dibattito in corso e per questo ringraziamo Luca Rota – sulle cui pagine è comparso il commento:
Sono un consigliere del comune di Sellano, in Valnerina, Umbria, dove tra qualche settimana verrà inaugurato “l’ennesimo ponte tibetano”.
Ho letto con interesse l’articolo, che pone delle domande più che legittime, domande che sono tra le tante che come amministrazione comunale ci siamo posti prima di decidere di procedere con la costruzione del nostro ponte.
La situazione dei piccoli paesi delle aree interne è simile su tutto il territorio nazionale, fiumi di parole sono stati spesi per analizzare problemi e possibili soluzioni, il più delle volte da persone che hanno una conoscenza per lo più teorica del soggetto.
La reazione a catena che incrementa lo spopolamento è ben nota e illustrata. La mancanza di lavoro porta i giovani ad emigrare, lo spopolamento porta alla diminuzione dei servizi e la chiusura di attività, la popolazione rimanente non solo è numericamente esigua ma anche anziana e poco qualificata. I servizi di base sono in gran parte privatizzati, col diminuire della popolazione questi servizi non sono remunerativi e quindi Poste, banche, ASL, trasporti pubblici vengono ridotti all’osso, nella speranza di scoraggiare i pochi determinati a restare e poter quindi chiudere del tutto. La scusa che quasi tutto oggi si può fare online non regge in quanto le popolazioni di queste aree sono in gran parte digitalmente analfabete e comunque i servizi online sono il più delle volte concepiti in modo inadeguato e scarsamente funzionante. Le amministrazioni comunali non hanno voce in capitolo per quanto riguarda questi servizi di base, e le loro richieste alle varie aziende responsabili sono generalmente ignorate. Si ha l’impressione che non vedano l’ora che queste realtà locali si estinguano.
I piccoli comuni non hanno risorse umane ed economiche sufficienti e dipendono dalla capacità di partecipare con successo a bandi per ottenere finanziamenti. Questi finanziamenti, generalmente fondi della Comunità Europea distribuiti dalle Regioni, hanno finalità specifiche, non necessariamente rispondenti alle reali necessità delle aree interessate, in quanto concepiti ben lontano da queste realtà. Questo spesso risulta in quegli elefanti bianchi di cui la nazione abbonda.
In questo contesto dunque, cerchiamo di vedere qual’è il senso di edificare l’ennesimo ponte tibetano.
Il turismo è il motore più immediatamente accessibile per rimettere in moto delle comunità ormai esangui. Il rischio, ben documentato, è di tramutare i luoghi in tante Disneyland artificiali dove i pochi residenti devono convivere con un’invasione di turisti mordi-e-fuggi alcuni mesi dell’anno, snaturando i luoghi e dando da sopravvivere ad alcuni e arricchendo altri. Questo si può evitare solo pianificando un sistema territorile integrato del quale il turismo sia solo una componente e il pretesto per rimettere in moto tutto il meccanismo della comunità. Non dimentichiamo che le zone interne vivevano da secoli di economia locale fatta di elementi correlati e mutuamente necessari. Negli ultimi 50 anni questi elementi si sono completamente disgregati, e sostituirli con qualcosa di diverso e funzionante è comunque un’operazione artificiosa con una serie di rischi non indifferenti. Ma l’alternativa è di fare da spettatori alla scomparsa delle comunità e l’abbandono dei luoghi.
La nostra decisione di procedere con l’edificazione del ponte fa parte di un progetto del quale il ponte stesso è solo la punta dell’iceberg, la parte visibile e spettacolare intesa a supportare tutto ciò che ci sta intorno. Tra le varie opzioni disponibili e finanziabili era quella che aveva il minor impatto ambientale (la struttura potrebbe essere facilmente rimossa senza danno per l’ambiente il giorno che avesse assolto la sua funzione). Era quella col maggior potenziale di creare un certo numero di posti di lavoro direttamente e indirettamente, l’apertura di attività collegate, il recupero di strutture abbandonate, l’arrivo di nuovi residenti, tutti elementi essenziali ad un nuovo inizio. Era anche l’opera con il maggior potenziale per stimolare un turismo lento a basso impatto, combinato con attività legate alla natura, che potessero partire immediatamente, cosa essenziale in un paese dove anche le cose più elementari possono richiedere anni di gestazione e procedimenti burocratici. Infine, gli introiti del ponte, a fronte dell’investimento coperto da finanziamento, rappresentano un buon potenziale di profitti che, non essendo vincolati a bandi e considerazioni politiche, l’amministrazione potrà reinvestire localmente in tempi brevi per supportare la attività e i servizi che sono di competenza locale e per interventi necessari su un territorio che, dopo anni di negletto, necessita cura e investimenti mirati a preservarne il patrimonio naturale, storico e architettonico.
I primi segnali, ancor prima dell’apertura del ponte, sono positivi, con l’arrivo di nuovi residenti e l’apertura di attività. Si tratta ora di amministrare saggiamente le risorse e concepire i prossimi passi in modo sistemico e coordinato, con un piano a medio-lungo termine.
Ne saremo capaci? Possiamo solo provare a fare del nostro meglio nell’interesse di chi qui vive tutto l’anno e con l’intento di attrarre nuovi residenti, per rigenerare la comunità, in un’ottica adatta all’oggi, consapevole del passato e con un occhio ad uno sviluppo che possa evolversi nel tempo.
Roberto Battista