ROMA – È con una lettera aperta che Marco Bussone, presidente nazionale Uncem – Unione nazionale Comuni Comunità Enti montani, si rivolge al direttore de Il Sole 24 Ore, Fabio Tamburini, dopo che il quotidiano economico ha dedicato una inchiesta ai temi delle Aree interne e dei piccoli comuni.
Preg.mo Direttore,
dove è finita la SNAI, Strategia nazionale Aree interne? Dove si è persa l’attuazione della legge sui piccoli Comuni 158/2017? Dove abbiamo lasciato lo spirito e la voglia di dare corpo all’ultima legge per la montagna, la 97/1994 varata dal Parlamento trent’anni fa? Dove sono nelle Alpi e negli Appennini i benefici dei fondi del PNRR?
Lei, Direttore e Giornalista come il Sottoscritto, sicuramente mi dirà che una lettera non si apre mai con delle domande. Eppure da quando stamani ho letto le pagine di inchiesta sullo spopolamento delle aree interne che aprono il Suo Giornale, non smetto di farmi queste domande. Non sono certo nuove per me, chiaro. Sfuggivano ai più, i dati che Lei ha voluto inserire, nel pezzo di Carlo Marroni, e traducendoli in carte geografiche colorate, tanto care anche a Uncem. Gli addetti ai lavori, Sindaci in primis, conoscono bene quei numeri, così drammatici per un Paese intero, così ficcanti e da non far dormire la notte per definire le migliori azioni politiche, istituzionali, economiche, sociali durante il giorno. Quelle domande che pongo a me e a Lei, all’amica Luisa Corazza, a tutti coloro che si occupano di aree interne e montane, hanno risposte piene di fragilità, da parte di chi avrebbe dovuto agire, meglio e con più forza. Perché i dati che il Sole di oggi presenta, non sono purtroppo entrati abbastanza nelle ultime campagne elettorali, non sono sufficientemente conosciuti da tutti coloro che vengono eletti. Non sono patrimonio Comune. Non spingono le coscienze. Non ribaltano i paradigmi di sempre. Eppure sono lì, in mezzo a chi pensa che le soluzioni alle questioni poste oggi dal Suo giornale sono nella “borghizzazione” dei Paesi, con misure quali il “Piano borghi” che il PNRR ha varato – buttando via 1 miliardo di euro – oppure con un po’ di trasferimenti dal centro alle periferie, misure assistenziali che andavano bene forze negli anni sessanta, fino agli ottanta: io da Roma, Torino, Napoli, do a te, Sindaco e territorio delle Alpi e degli Appennini, un po’ di soldini. Tu mi dai i voti, anche se pochi, per essere eletto. Lo scambio assistenziale soldi-voti, in totale trasparenza per carità, che ha relegato nel municipalismo e nell’isolamento i territori. Perché quando i flussi di risorse economiche dal centro sono diminuiti, altre soluzioni alternative non sono state trovate.
La legge sulla montagna così interessante e moderna del 1994, ultima della Prima Repubblica, è rimasta lettera morta. Bella eh, ben scritta, Coldiretti e Uncem in testa. Discussa e nata dai territori in dialogo. Stupenda. Inattuata e per trent’anni forse anche troppo ingombrante per chi ha sempre visto solo una certa montagna da 8mila euro al metro quadrato di appartamenti, o la Sardegna dei villaggi turistici e delle grandi ville, o che non sa come funzioni un paese senza più bar (200 in Italia, 500 a rischio). Ingombrante per chi non sa come è fatta una valle dove strada e versanti implodono nei cambiamenti climatici. E a chi crede che la neve degli ultimi giorni salvi il clima che degenera a causa nostra. Mistificazioni di una certa montagna, del Paese, per far restare tutto com’era. La questione montana è stata “risolta”, dal 2005 in poi, azzerando il fondo montagna nazionale e smontando le “Comunità montane”, quelle che “La Casta” gettava in pasto all’antipolitica nascente, spesa delle spese. Pure chi ha scritto il libro si è pentito, ex post. Così sono iniziati l’allontanamento dello Stato dai territori, la distruzione del tessuto istituzionale, che affondava la Storia nella Residenza e nei “Consigli di Valle” su Alpi e Appennini”. Molte Regioni hanno buttato via tutto in nome di miopia e deliranti promesse di riforme. Poveri illusi. Ideologico fallimento di non-politiche territoriali. Tutte le maledizioni politiche possibili.
Poi nel 2013 è arrivata la Strategia nazionale Aree interne. Ambiziosa, evoluta. Il “montani” dopo Comuni, la montagna, scompaiono. Nell’articolo 44 della Costituzione era stata inserita la montagna non a caso. Si preferisce invece inventare una nuova complessa definizione (interno è sempre quello che vedi da un ipotetico centro, ma geograficamente va preso con le molle e con la soggettività di chi guarda), una nuova classificazione di Comuni (che caos tra centri, periferici, ultraperiferici! e le distanze dalle stazioni e dagli ospedali), inventare 72 aree pilota, mettere insieme fondi statali e regionali. Intuizioni importanti, per costruire una novità. Che piace, muove centri di ricerca, assistenze tecniche, professionisti, soldini per comporre progetti dei territori. La necessità di vedere paralleli, senza dare priorità, alla riorganizzazione dei servizi pubblici, scuola, trasporti, sanità e assistenza, e allo sviluppo sociale-economico, è peraltro importante. Moderna. Come efficace è la necessità di obbligare i Comuni delle aree interne, per fare la Strategia, a lavorare insieme. Piccoli e grandi. Vuoi i finanziamenti? Smettila di credere che nel campanilismo ti salvi. Si deve lavorare insieme. Bene.
Troppe Regioni in questa Strategia iniziano a non credere dal 2015. Disimpegno. Che arriva fino a oggi. [Attendo risposte e dati regionali, non solo dai migliori, che ci sono!, sull’attuazione e sulla spesa]. Sin dall’inizio, ci si perde nella burocrazia. Le 72 aree sperimentali, per circa mille Comuni, non verranno mai estese. E i Ministeri non hanno mai avuto voglia di adeguare provvedimenti normativi, numeri e regole a quanto emergeva dalla prima sperimentazione. Basti guardare alla norma sulle classi e sulle dirigenze scolastiche: numeri abbassati due anni fa in legge di bilancio e corretti al rialzo, un anno dopo, governo diverso, nella manovra successiva. I parametri che devono cambiare, restano immutati. Per fare una classe, per avere un ospedale, per avere servizi dignitosi. Diritti di cittadinanza, che falliscono se tutto è uguale. Meglio proseguire come si è sempre fatto, secondo alcuni, senza differenziazioni di politiche in base alle geografie. Anche la classificazione dei Comuni, partorita nel 2014 e aggiornata nel 2021, non aiuta. Genera sperequazioni, proprio come quelle dei borghi che ottengono 20 milioni di euro di PNRR, uno per regione, mentre il paese vicino ha niente. Che idiozia. Gravi situazioni che finiscono per complicare ogni processo strategico.
I numeri della spesa della Strategia aree interne su Open Coesione sono drammatici: dal 2014 a oggi, 11% di progetti conclusi, 4% di progetti liquidati, 29% (su 1904 progetti monitorati) di progetti non avviati. Chi sta remando contro? Dove si ferma il meccanismo? Quali sono i problemi? Uncem lo continua a chiedere alle regioni e anche alle aree. Così non va bene. E la migliore Strategia non si può perdere così dopo 10 anni. Non dobbiamo perdere la Strategia! Uniamola e vediamola congiunta con Strategia delle Green Communities e Strategia dello Sviluppo sostenibile, Strategia forestale, oltre che Strategia per lo sviluppo della montagne italiane, prevista in molti dei 15 ddl sulla montagna oggi depositati in Parlamento dai diversi gruppi politici, oltre a quello del Governo. Roba interessante. Ma se la legge 97 non ha trovato attuazione, ne serve veramente una nuova?!
Con la nuova programmazione comunitaria 2023-2027, anche gli ultimi Governi nella SNAI non hanno creduto. Dovevano partire già nel 2022 altre 43 nuove aree sperimentali SNAI. Tante attese, ma tempi eterni per approvare un “programma di territorio”. Ci lavorano. Siamo ancora lì. Come siamo fermi con 40milioni di euro stanziati nel 2021 dal decreto incendi per la prevenzione proprio nelle aree interne. 40 sono stati spesi, altri 40 sono persi in qualche tavolo della Presidenza del Consiglio, visto che l’Agenzia della Coesione che se ne stava occupando è stata chiusa trasferendo tutti al Dipartimento della Coesione. La Strategia Aree interne non è più nazionale. Solo alcune Regioni (brave!, in primis Lombardia) si sono dotate di risorse dei loro POR FESR e dello sviluppo rurale per far lavorare insieme Comuni in nuove aree. Di fatto una regionalizzazione di una strategia nazionale che abbiamo perso nelle frizioni istituzionali, nella non continuità amministrativa, nei litigi tra livelli.
La crisi ecologica e demografica avrebbe tanto tanto bisogno di usare Strategia delle aree interne – insieme alla moderna Strategia delle Green Communities, unica componente del PNRR che non è imperniata sul campanile, ma sull’insieme – anche per ridefinire le geografie istituzionali nel Paese che perde abitanti. Piccoli e grandi Comuni devono lavorare insieme, cosa che invece il Piano nazionale di ripresa e resilienza e tutti i bandi fatti, uno dietro l’altro, senza disegno e senza strategia d’insieme, ha impedito. Quasi vietato. 7900 Comuni, 5000 dei quali nelle aree interne, 3400 delle Alpi e degli Appennini, devono agire insieme non annullando e fondendo storie e destini, bensì con processi amministrativi che congiungono obiettivi, uffici, impegno per le comunità. Lo scriveva già la legge 97/94 prevedendo le Comunità montane: si lavora insieme, cari Comuni, a dimensione-valle. Altrimenti zero risorse. E zero coesione. Lo dice anche Eurostat. Bruxelles ci sveglia per bene. Ma noi niente. Dovrebbe valere – il lavoro insieme tra Comuni, piccoli e grandi – anche per una riforma fiscale seria, per fare perequazione su ambiti che non siano quelli dei singoli Campanili. Sembra un dibattito accantonato. Come è andato in soffitta l’articolato – copiato in molti altri Paesi europei – per i piccoli Comuni. Pochi ma bravi Parlamentari ci hanno lavorato per 15 anni prima di portarlo a casa. Il Parlamento lo ha approvato all’unanimità, ma Ermete Realacci, Enrico Borghi, Raffaella Mariani e pochi altri hanno dovuto pure andare dal Colle più alto, con il Presidente Ciampi che ha toccato i tempio al Parlamento. Poi più niente: 160milioni di euro gestiti malissimo con un bando fatto qualche mese fa, a sei anni dalla legge, da Casa Italia con una corsa verso qualche milione di 1500 Comuni. Ne verranno finanziati 100 o poco più. Si va poco lontano nella logica del bandificio. E che dire del piano per i trasporti e le scuole nei piccoli Comuni che la legge introduceva? Rimasta lettera morta, mai partito l’iter del decreto attuativo. Anni fa un Ministro manco sapeva fosse da fare.
E così, sono stato costretto caro Direttore a evidenziare cosa proprio non va. Le classificazioni dei Comuni, che di tanto in tanto ci inventiamo creando più danni che soluzioni, i soldi spesi male con bandi fatti con click day, il piano banda ultralarga che nelle case non arriva perché si è derubricato l’ingresso nei civici portando la fibra e i segnali nei tombini, i fondi del PNRR spesi per ciascun Comune ad esempio per la digitalizzazione, con voucher gonfiati per fare un sito internet dando anche 40mila euro a un Comune da mille abitanti.
L’analisi delle Politiche questo Paese non l’ha mai saputa e voluta fare. E tantomeno della spesa. Le leggi rimangono sulla carta e gli investimenti, tantopiù se gestiti con formule “plurifondo” o tra Comuni ed Enti locali che devono lavorare insieme. Le riforme degli Enti locali, come Francia e Germania hanno fatto obbligando a lavorare insieme 36mila e 24mila Comuni, per un’area politica nel nostro Paese sono troppo difficili per l’altra troppo ingombranti. Pericolose. Abbini Lei le aree.
Eppure, quando mi muovo tra le Valli alpine e appenniniche del Paese, trovo una vitalità grande. Bellissima. Sindaci e Amministratori che sono artefici delle loro comunità, le plasmano, le coinvolgono, fanno un bando in meno, ma sanno quanto sia importante trovarsi al bar che è rimasto e che resiste a discutere di quel progetto e di quella fognatura, per il bosco (ecco: la legge nazionale sulle foreste del 2018 è perfetta e in piena grande attuazione, caso unico)… Una vitalità che le città – ci lavoro, a Torino e Roma – non hanno. Non hanno così. Errore grande, anche da parte nostra, sarebbe frammentare e dividere. Non siamo noi bravi, Stato e Regioni cattivi, la SNAI buona o meno, chi fa le leggi incapace. Questo è un discorso che non ci piace. Noi siamo Stato. E lavoriamo per la riuscita di Strategia Aree interne, Strategia Green Communities, leggi come quelle per montagna ed Enti locali. Qualcuno però nei Ministeri in particolare si è assopito. Quei dati che Lei oggi presenta devono svegliare chi pensa che le cose vadano avanti per inerzia. Si certo. Ci andranno e lo spopolamento, la desertificazione commerciale, il dramma dei Paesi vuoti, dove si muore di più e si nasce di meno, dei Sindaci soli, dei Comuni che pensano di far da sé e va-tutto-bene, continueranno ad aumentare.
Noi non lo vogliamo. Il patto tra aree rurali, montane, interne e città, deve crescere. Il Suo Giornale oggi lo stimola decisamente. Anche con Confindustria, con il nuovo Presidente, dovremo lavorare molto. Con tutte le Datoriali, con le Organizzazioni sindacali, le Università, i tanti studiosi che dalla SNAI hanno prodotto migliaia e migliaia di libri e di corsi (di certo hanno mosso interesse anche se la spesa per lavori e servizi è rimasta al palo… dovremo interrogarci sui legami tra spinta culturale e azione politico-amministrativa, insieme con gestione operativa). Lavoriamo ancora insieme. Raccontiamo cosa non va – l’ho fatto fin troppo, in questa mia – diciamo cosa va. Ed è tanto. Buone pratiche che devono tradursi in Politiche. Serie e vere. Di Paese. Collegandoci all’Europa verso le elezioni. Spinelli, per dirLe e i Federalisti europei, questi temi li avevano messi al centro dell’Unità.
Unità. Ecco di cosa abbiamo bisogno. Tra comunità e Comuni, tra Enti insieme, tra risorse. Non vuol dire annullare peculiarità e differenze. Vuol dire puntare anche su una Politica che nelle Istituzioni romane e regionali sappia agire sui temi che Lei oggi ha posto dividendosi meno, con più incisività. Con meno “cabine di regia” e accelerando la spesa. Le comunità dei paesi e dei territori ci chiedono anche questo.
Certo del Suo interesse per questa mia – il Sole è lucido e sempre efficace nel raccontare Comuni e territori, con tanti Amici e Colleghi giornalisti bravissimi – spero di poterLa incontrare presto. Mi scuso per la non-sintesi, e ancora la ringrazio a nome di tutta Uncem.
Con stima,
Marco Bussone
Presidente nazionale Uncem
Unione nazionale Comuni Comunità Enti montani