DON STEFANO COMMENTA IL VANGELO DELL’11ª DOMENICA DOPO PENTECOSTE



La pagina di Matteo di questa domenica chiede, per essere interpretata correttamente, che venga ricordato il contesto in cui è inserita. Il brano è preceduto dal Vangelo che abbiamo ascoltato domenica scorsa. Gesù aveva cacciato dal tempio coloro che ne avevano fatto un mercato. Cechi, storpi e i piccoli invece, con lui, nel tempio si trovavano a casa loro. Poi il vangelo ricorda che, a sera di quel giorno, Gesù si era recato a Betania a casa di Marta, Maria e Lazzaro probabilmente per trovare riposo e il conforto e il bene che offre una vera amicizia. Il mattino dopo torna al tempio ad insegnare. I capi dei sacerdoti e i farisei lo affrontano duramente: “Con quale autorità fai queste cose? Chi ti ha dato questa autorità?” Gesù risponde in parabole e propone, come seconda, quella contenuta nel Vangelo di questa domenica.

Erano loro quei contadini arroganti che spadroneggiavano nella vigna, nella vigna di Dio. La vigna era stata oggetto delle cure di Dio: piantò la vigna, la circondò con una siepe, vi pose un torchio e costruì una torre. Da una parte troviamo la cura e la custodia di Dio e dall’altra l’aria da padroni dei contadini. Come se la vigna fosse loro e potessero fare il bello e il brutto tempo, disporre di tutto come era loro gradito. Non avevano ascoltato i profeti mandati da Dio per amore, neppure Giovanni Battista. Ora stanno per uccidere il Figlio che Dio ha mandato. “Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero” dice la parabola. La storia della parabola, è la storia di Gesù: morto di croce fuori la città, come un comune malfattore, fuori perché non sporcasse con la sua morte la sacralità della Pasqua nella grande città. È facile fermarsi qui nella lettura di questa parabola. Parla del rifiuto di Israele, parla della drammatica vicenda del rifiuto di Gesù. Ma può essere una parola anche per noi? come?

Trovo due motivi per non dribblare questa Parola come se riguardasse solo in modo inequivocabile la storia di Israele.

Il primo: è una parola che annuncia il Vangelo della ostinata volontà di bene di Dio nei confronti dell’uomo. La sua volontà di “alleanza” con noi è incrollabile! E questa volontà di alleanza è sempre rispettosa della nostra libertà, la presuppone, la accoglie e la esalta. La possibilità del rifiuto è annuncio dell’amore di Dio verso di noi.

Il secondo: la parabola ci parla di un pericolo possibile, per noi. “uccidiamolo e avremo la sua eredità”. La vigna può essere considerata qualcosa da spartire. Le autorità religiose erano guidate secondo Gesù dalla sete di potere dalla sete di avere. Erano come capi-padroni e non potevano più a lungo sopportare che il rabbi di Nazaret svelasse impietosamente i disegni del loro cuore. È il rischio di considerare la vigna come una proprietà personale. Ma la vigna è di Dio, sua proprietà e a noi è solo affidata. Il pericolo che possiamo vivere anche noi è dimenticare che ogni uomo e ogni donna non possono essere considerati nostro possesso, sono solo affidati alla nostra cura, alla nostra custodia. E’ un pericolo proprio delle autorità religiose di tutti i tempi. La vigna, che è ben più grande della chiesa, è il regno di Dio, è il mondo in cui cresce il regno di Dio, cresce il vangelo, cresce il progetto di Dio. La vigna è di Dio, guai a comportarsi come fosse cosa nostra. E’ di Dio, a noi può essere solo affidata.

Ogni creatura, uomo, donna, natura sono affidati alla nostra cura e alla nostra custodia perché nella loro vita portino frutti abbondanti. Non ci appartenga mai l’aria del padrone, che è invece ciò che uccide i germogli che promettono di diventare uva prelibata.

Don Stefano Colombo
Casa Paolo VI – Concenedo

 

 

 

 

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