“Tu sei un asino,
hai la coda,
quando ti volti dietro vedi la coda,
quando guardi avanti tu vedi la via,
tu vai per la via,
tu vai per la tua via.
Tu sei un asino,
tu fai hi tu fai ho
tu fai hi ho”
(L’asino – Marius Marenco –
da “Alto Gradimento” – anni ’70)
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Questa settimana ci ho pensato su e ho scoperto che è un sacco di tempo che non parlo dei posti bellissimi.
Mi sono reso conto di essermi occupato più delle persone e dei loro comportamenti, il tutto senza avere la benché minima qualifica, camminando in bilico come sul sentiero della Piancaformia, rischiando grosso ad ogni riga, ed ogni parola era un’incognita, un azzardo giocato nero su bianco.
Anche se poi, come qualche amico mi dice e qualche nemico mi rimprovera, dimentico della diplomazia, vado giù piatto e chissenefrega..
Non vi piace la verità? Difficile rispondere quando la vita di ogni giorno costringe tante volte a nasconderla, per opportunismo, per accidia, perché è meglio passare dove l’acqua è bassa ed evitare di bagnarsi troppo i piedi.
Cosa c’entra con i posti bellissimi? Un bel niente, ma ormai l’ho scritto e non torno indietro a cancellarlo.
Magari a qualcuno potrà servire.
A me senz’altro. Perché non sempre osservo l’ottavo comandamento.
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Non parlavo dei posti bellissimi da tanto tempo forse perché erano settimane, forse mesi, che non mettevo piede lassù, dove una strada corre sopra un temerario acquedotto e, a un certo punto, una cappelletta ti invita a scioglierti in qualche Ave Maria anche se, devo confessarlo, ritengo di avere un rapporto un po’ più diretto con suo Figlio.
Ognuno ha il suo posto magico, almeno voglio pensare sia così; un posto dove si ritrova con sé stesso, alza gli occhi e si innamora di ciò che vede. Poi può essere il mare, la pianura, o la montagna; una via, una piazza, un parco.
Capite bene che sono dettagli. E importano ben poco.
Così, mentre ero là (e i più avranno capito dove è quel “là”) ho guardato in basso come se fosse la prima volta, come se non conoscessi ogni centimetro del palcoscenico, stupito dal mio stesso stupore, gli occhi umidi e non era né il vento né fratello Sole.
Ed ho pensato al tempo.
Al tempo che passa.
E ai posti bellissimi, come quella specie di santuario nella natura che hanno costruito a Ombrega che non avevo mai visto dal vivo (scusate, scusate!) non so per quale strana ragione.
Ne sono rimasto affascinato e voglio approfittare di questo spazio gentilmente concesso per fare una cosa che forse non potrei, ma la faccio lo stesso: pubblicità.
A un altro dei posti bellissimi.
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Che qualche volta sono difficili da raggiungere. O da lasciare, dipende dalle circostanze e dalle necessità.
Un bilico di barre d’acciaio? Un camion carico di tronchi di pini secolari? Un trattore verde con balle di fieno? Un apecar? Un “milanes” impaurito dalle curve? Un plotone di ciclisti invadenti? Una rotonda sul mah? Avranno aperto la Sagra prima del tempo? Sta sfilando la banda di Cortabbio? E’ caduto un meteorite alla Fola? Una corsa dei tori a Introbio?
No, stavolta no.
Pecore. E, stando a quello che si intravvede nella foto, anche quattro asini.
Uno spettacolo dell’assurdo che mi costringe ancora a tornare indietro. Questo cerchio non riesce mai a chiudersi, zioladro, ed io mi lascio prendere all’amo sempre e comunque.
Pecore. Avete visto l’altra foto? Notato differenze?
Ok, mancano gli asini, ma il resto? Di chi sarà il merito? Un applauso ai pastori, coraggio!, se lo meritano: ovini a destra e strada sgombra. Sembra facile, ma non lo è.
Merito della società? Della famiglia? Delle pecore stesse medesime? Oppure di una diversa educazione, un diverso concetto del rispetto e della disciplina?
Vi ricorda per caso un argomento di cui abbiamo già parlato a lungo nelle scorse settimane?
Un pastore saggio e “sa mazzocca” (spero sia giusto caro Nello), questo il segreto, nel gregge come altrove, senza essere tiranni, solo avendo ben chiaro il proprio ruolo e non cercare ogni volta l’acqua bassa del compromesso ad ogni costo.
Ai pastori sardi non dobbiamo insegnare nulla, vivono con le loro millenarie verità nei loro posti bellissimi.
Ai nostri di qui intorno, invece, forse sì.
Resta, in conclusione, un dubbio da sciogliere: ma i quattro asini cosa ci facevano in mezzo a tutte quelle pecore?
Leggete gli ultimi domenicali e non dovreste avere difficoltà nel trovare la risposta.