BARZIO – Mai tanta gente come ieri sera in Sant’Alessandro per l’inaugurazione della 46esima Rassegna organistica valsassinese. Il Coro città di Desio diretto da Enrico Balestrieri insieme all’organo Mascioni affidato a Riccardo Villani ha davvero coinvolto il numeroso pubblico che non si è risparmiato in applausi.
“Una serata che è dimostrazione di quanto eventi di questo tipo siano apprezzati da appassionati, turisti o residenti” commenta soddisfatto il direttore artistico Daniele Invernizzi. Entusiasmo che riproponiamo nelle appassionate parole di Sergio Ragaini e nella registrazione della celeberrima Hallelujah dal Messia di Handel.
Un “viaggio musicale” dal quale si torna trasformati
Un viaggio musicale.
In fondo, tutti i percorsi musicali sono viaggi. Viaggi che, di solito, riportano al punto di partenza. Che permettono di viaggiare nello Spazio e nel Tempo, concludendo da dove si è partiti: nel luogo e nel tempo dove la musica risuona.
Tuttavia, questo percorso appare, cinematograficamente parlando, un tempo ciclico. Nel senso che si torna sì da dove si è partiti, ma in maniera trasformata. Ogni percorso musicale non lascia mai uguali a prima. Soprattutto quando la Musica che riecheggia è grande musica, musica che vale la pena di ascoltare. E quando gli esecutori sono degni di nota.
Nella serata inaugurale della Quarantaseiesima Rassegna Organistica Valsassinese tutto questo si è verificato. La musica proposta, infatti, è stata di grandissima qualità: un percorso musicale che ci ha portati sino alla seconda metà del secolo scorso, in quel novecento che, non solo nella musica, ha portato ad una graduale dissoluzione delle strutture esistenti, verso qualcosa di completamente nuovo. Un novecento al quale è bello affacciarsi, soprattutto quando la dissoluzione è dolce e luminosa, e porta solo ad un ampliamento, piuttosto che ad una disgregazione.
La serata si è aperta quasi mettendo in una sorta di relazione due “giganti” del barocco: Johann Sebastian Bach e Georg Fredrich Händel . Due giganti che, seppur connazionali e del tutto contemporanei (sono nati nello stesso anno), hanno poi avuto vite e percorsi diversissimi. Il primo, infatti, è vissuto in Germania, dalla quale non è mai uscito. Il secondo, invece, dopo un soggiorno in Italia, ha vissuto la maggior parte della sua vita a Londra, dove lo stile musicale era diverso. Qualcuno ha definito che, alla cerebralità di Bach, si contrapponeva la spontaneità di Händel. Per il quale, almeno in parte, la musica era “Just for fun” (solo per divertimento), anche se un “divertimento”, comunque, di alto livello. E poi, in fondo, con la musica bisogna divertirsi, altrimenti perde il suo scopo!
L’inizio del programma è con Händel. Quattro brani dal monumentale “Messiah”, un’opera dove l’autore mette in luce, in diversi momenti, una grande maestria contrappuntistica, che emerge nei fugati dei pezzi proposti, da “And with his Stripes”, sino al “Hallelujah”, che chiude la sezione. Un tono più meditativo appare nel “Since by Man came death”, dove le voci si muovono in modo più omoritmico.
Poi è la volta di Johann Sebastian Bach, con due brani dai caratteri diversi, accomunati però dal rigore strutturale, anche se spazio è lasciato alla gioia e alla lode spirituale, che si eleva luminosa.
Dal primo brano, “Jauchzet Frohlochet” (Cantate con gioia), dalle sonorità piene e intense, si passa ad un corale, “Wie soll ich dich Ach mein herzliebes” (come dovrei esprimerti tutto il mio amore), dai toni meditativi.
Un salto nel tempo ci porta a Mozart, con tre brani del Requiem. L’introduzione, densa di pathos emozionale, il vibrante e drammatico “Dies Irae”, e il “Lachrymosa”, un brano che mi suscita sempre forti emozioni, perché qui, dopo le prime otto battute, la mano di Mozart si è fermata, e la parola, per la conclusione del Requiem, è passata, verosimilmente, al suo allievo Xaver Sussmayr.
L’ascoltare questo brano riporta, con la mente, a quell’istante, dove un grande compositore ha “firmato” le sue ultime note.
Poi il viaggio musicale ci permette di entrare in pieno 900, con Maurice Duruflé, parte di quella grande Scuola Organistica Francese che ha dato un grandissimo impulso all’evoluzione musicale, introducendo un linguaggio spesso particolare e innovativo.
I primi due brani del “Requiem” di questo autore ci portano in atmosfere musicali soffuse, dove il Canto Gregoriano, sovente sullo sfondo, si fonde con una polifonia delicata e soave, dove anche le dissonanze presenti non sono mai una rottura, ma piuttosto un allargamento sonoro, una ricerca di nuove sonorità, senza mai rompere con il substrato esistente.
Un Requiem dolce e luminoso, che rievoca maggiormente le glorie del Paradiso, il sonno dopo le fatiche della vita, piuttosto che il terrore della punizione e delle fiamme dell’inferno. Riecheggiando in questo, anche se da lontano, il Requiem di Gabriel Faurè.
Si conclude tornando nell’800, e in un certo senso a Bach. Felix Mendelssohn, infatti, fu quello che riscoprì Bach, riportandone in scena la Passione secondo Giovanni.
Nel “Salmo 24” proposto, la dolcezza e la forza si mescolano. E, agli echi barocchi, si unisce la melodicità romantica, per un effetto davvero notevole.
Poi due bis chiudono la serata, che ancora viaggiano tra Mondi Musicali: ancora Bach, con il celeberrimo Corale della Cantata BWV 147, che è sempre bello risentire, per concludere con il “Notre Pere” (Padre Nostro) di Duruflé, che vola tra atmosfere dolci e quasi soffuse.
E veniamo ora alla seconda condizione, di cui parlavo all’inizio, che può davvero portare la musica ad essere trasformativa: l’esecuzione. Qui l’esecuzione è stata davvero notevole. Il coro “Città di Desio” si è dimostrato davvero capace di un’interpretazione che ha messo in evidenza l’intensità dei brani, permettendo di percepirne le varie sfumature. Attraverso un’esecuzione precisa, dove tutte le parti si potevano ascoltare e percepire distintamente. Un’esecuzione che non è mai stata “eccessiva”, ma sempre equilibrata e rispettosa dello spirito musicale dei brani proposti.
Nelle esecuzioni musicali, di fatto tutte originalmente per coro e orchestra, e qui proposti per coro ed organo, l’organo ha davvero risuonato, cosa sottolineata anche all’inizio della serata dal Direttore Artistico della rassegna Daniele Invernizzi, “come un’orchestra”. In fondo, l’organo permette molte sonorità, e l’Organo Mascioni di Barzio, del 1978, è capace di grandissima espressione musicale, grazie anche al numero dei registri in esso contenuti.
Un’orchestra tra le dita e i piedi di un notevole organista, Riccardo Villani, che ha saputo davvero far risuonare l’organo come tanti strumenti assieme, senza mai, e questo è molto bello, sovrastare il coro.
Infine è risultata interessante anche la presentazione delle singole sezioni del concerto da parte del direttore del coro, Enrico Balestreri, che ha anche “calato” i brani nel periodo storico e musicale in cui sono stati composti, spiegandone le particolarità e le peculiarità.
Con questi ingredienti, il “viaggio” musicale, che poi ci ha riportato a Barzio, nella Chiesa di S. Alessandro, ha saputo davvero riportarci trasformati al punto di partenza. Come sa fare la musica, quando è a questi livelli. E nella sera dell’8 luglio 2017 lo è stata.
Se il buon giorno si vede dal mattino, possiamo aspettarci grandi concerti, in questa rassegna, che saprà davvero far parlare la musica. Permettendoci di ascoltarne la voce più bella e luminosa.