“Anche per te vorrei morire ed io morir non so
anche per te darei qualcosa che non ho
e così, e così, e così io resto qui
a darle i miei pensieri, a darle quel che ieri
avrei affidato al vento cercando di raggiungere chi…
al vento avrebbe detto sì”.
(Anche per te – Lucio Battisti – 1971)
E adesso?
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Conosco il Renè da molti anni, con lui ho condiviso anche una bella esperienza di amministratore in un fantastico borgo dei Posti Bellissimi.
Il Renè abita sulla strada che ogni giorno percorro per andare al lavoro e, ogni tanto, scambiamo due parole.
La sua compagna di un vita se ne è andata da qualche anno, verrebbe da dire troppo presto, ma il presto o il tardi nella vita non lo decidiamo noi, anche se talvolta nella nostra superbia interplanetaria crediamo di essere in grado di gestire anche il tempo, salvo poi accorgerci che è passato nonostante i nostri inutili sforzi per fermarlo.
Tra le tante cose che, invece, possiamo decidere è ciò che può renderci felici, quello sì.
Ed io so cosa rende felice il Renè.
L’altra mattina mi aspettava, ne sono sicuro.
Esce sulla sua terrazza con qualcosa in mano e sulle prime non capisco cosa sia. Poi mi spiega.
Ha compiuto gli anni (sono settantanove ma non li dimostra), ed in mano aveva il suo regalo.
Un cuscino.
Glielo hanno regalato i suoi nipoti: da quando è rimasto solo vive per loro, e me lo confida ogni volta che al mattino presto ci salutiamo.
Ma c’è dell’altro. Su quel cuscino c’è la foto di una splendida baita alle Piazze di Crandola e me la mostra nel gesto del campione mentre alza la coppa appena vinta dopo una gara.
Mi dice che non avrebbe potuto ricevere regalo più bello e, a settantanove anni, riesce a commuoversi. Ed io, anche se non nella stessa misura, con lui.
Mentre riprendo a camminare penso alla semplicità di quel regalo e, assieme, allo straordinario valore per l’uomo che l’ha ricevuto.
Ed alla sua felicità.
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A proposito.
Sì, a proposito di felicità e di chi ce la può regalare assieme a molto, molto, ma molto altro che purtroppo noi che abitiamo in un’altra metà del cielo spesso non vediamo e non capiamo.
O, talvolta, siamo comodi nel non vedere e nel non capire.
L’altro giorno era l’8 marzo ed ho deciso di fare gli auguri a tutti gli uomini perché riescano finalmente a comprendere le donne.
Vediamo, mi son detto, se in giro per la rete trovo consenso e, in effetti, ho notato qualche reazione.
In un giorno ho avuto una settantina di “mi piace” di cui 40 da “amiche” e il resto da “amici”, alcuni conditi da alcuni commenti.
Barbara, che non vedo da decenni, confessa di avermi rubato la frase: non c’è problema, consideralo, carissima, uno di quegli assist che facevo a tuo fratello quando giocavamo a pallone assieme; Claudio è sempre troppo buono e scrive “grandissimo”; anche Marta e La Tania apprezzano e sottoscrivono.
Un altro Claudio è decisamente pessimista: “impossibile”, creando non so quanto inconsciamente, un collegamento ad alta velocità con il termine “missione”.
Per Maddalena e Marco è un’impresa, non hanno dubbi.
La prima augura (ritengo a me e a tutto il genere maschile dalla comparsa dell’Homo Sapiens ai giorni nostri) buona fortuna, sottolineando che ce ne vorrà molta per riuscirci; il secondo (da buon amante della montagna) fa presente che “è molto più facile salire l’Everest senza ossigeno”. E ridiscenderlo, mi permetto di aggiungere.
Poi c’è il Giovanni, assiduo lettore di questi sproloqui festivi, che annota: “Questo fra i tuoi domenicali è il migliore”. Sicuramente il più breve, ma non avevo molto tempo a disposizione per il “giovenale”. D’altronde, a proposito di sintesi nei concetti, se non sbaglio fu proprio Giovenale (con la G maiuscola) a plasmare frasi tipo “mens sana in corpore sano” e “panem et circenses”. Poche parole, tanta saggezza e qui ci sarebbe da aprire un’enciclopedia. E dopo questa citazione del tutto azzardata spero che il mio ministro dell’istruzione non abbandoni il governo prima ancora dell’insediamento.
Concludo con lo scambio a distanza tra Anna e il Galbiati Enrico (lui sì, enciclopedico).
Lei afferma: “Siamo più semplici di quanto gli uomini credano. Vogliamo solo tante coccole e tanto rispetto”.
Lui, vecchia volpe segnata da un’esperienza a livello internazionale risponde: “Ho appreso dall’alto dei miei settantatre anni che per le donne COCCOLE (scritto tutto maiuscolo, n.d.r.) è sinonimo di danaro ed ecco perché sunt semper sfortunàààà”. Fatalista, l’Enrico, ma, credetemi, non è sempre stato così scalognato come dice. Una volta con la sua (e anche mia, peraltro) squadra ha persino vinto il Triplete.
Punti di vista. Opinioni. Battute. Pensieri in libertà. Più o meno.
In ogni caso, perché sto mettendo in piazza sta’ storia?
Per via del Renè.
E di tanti come lui che vorrebbero riavere vicino la loro moglie, compagna, amica, morosa, madre e che, non avendone più per mille e mille ragioni la possibilità, se ne stanno sul divano abbracciando con gli occhi lucidi un cuscino gonfio di ricordi.
Interrogandosi sul come sia possibile che altri riescano a trovare il coraggio di inchiodarle ad una croce.
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Per oggi può bastare.
Torno alla politica.
E adesso?
Buona domenica.
Riccardo
Benedetti
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