Se il Direttore lo consente vorrei aggiungere una contributo riguardo la discussione accesasi sulle pagine di questo benemerito giornale, sull’argomento: dissesto al Pont di Bonom [vedi intervento esterno ieri e successiva replica in materia di un altro lettore].
Non c’è da aggiungere nulla sull’utilità della presenza delle strade agrosilvopastorali che permettono ai montanari di facilitarne la presenza e attivarsi per la cura e protezione del territorio.
Il caso in questione riguarda un breve tratto di una strada militare tutelata, costruita durante la prima guerra mondiale, che come tutte le strade di montagna possono essere interessate da smottamenti naturali proprio per i luoghi scoscesi in cui sono realizzate. Da sempre si ripuliscono, si ripristinano i muretti e si procede,con il rischio mai escluso, per chi le percorre, di trovarsi sul cammino qualche inconveniente.
Nel caso in questione, quale occasione migliore per onorare concretamente e celebrare in un modo degno e diverso dalle solite vacue manifestazioni di commemorazione con bandierine, coccarde e fasce a tracolla, oltre alle tante ripetitive parole di circostanza, un monumento vivente ripristinandone la percorribilità in una ricorrenza centenaria. Un ricordo dovuto ai nostri progenitori, ma l’occasione è svanita.
In questo frangente la scelta è per la soluzione più facile, quella che porta a danneggiare un’ area selvaggia ed incontaminata e che non ha voce, una delle poche rimaste lungo il corso del torrente Varrone che ricordiamo essere fra i più sfruttati di Italia.
Nella lettera pubblicata su VN si annuncia che i lavori avranno caratteristiche di provvisorietà, ma sappiamo che scarseggiando le risorse collettive, nulla è più definitivo di un lavoro provvisorio, soprattutto se raffazzonato.
Seguendo le risorse economiche, usualmente si trovano le ragioni delle scelte. Le inefficienze dovute al mancato approfondimento sulle conseguenze, ad esempio le vibrazioni dei martelli pneumatici che hanno percorso la valle frantumando le rocce possono aver sollecitato la caduta di qualche masso di troppo.I cedimenti si addebitano sempre al fato.
Un lettore, bontà sua, non vede il dissesto presente al Pont di Bonom, allora vogliamo anzitutto ricordare che come sono da attenzionare gli interessi degli alpigiani a monte, bisogna avere riguardo anche delle persone che vivono a valle e specialmente per quei 300/400 lavoratori che operano nella zona industriale, già oggetto poco tempo addietro di una ordinanza di evacuazione, durata alcuni giorni, per il pericolo di inondazione.
Basterebbe dare uno sguardo al corso d’acqua a monte e a valle dell’area dissestata, per comprendere come il torrente ha disegnato nel corso dei secoli il proprio percorso e non c’è una minima ombra di erosione incontrollata.
Gli argini sono naturali e il torrente ha formato autonomamente le difese per attenuare le piene, conseguenza anche dei forti temporali pardon, bombe d’acqua come vengono chiamate adesso.
Per le esigenze che stavano nascendo per lavori alle nuove strade realizzate sul territorio, con l’impiego di grandi e pesanti macchinari non sostenibili dalle larghezza e dalla struttura dell’antico ponte, si materializza la prima passerella di attraversamento del torrente, e la conseguente bretella di congiungimento.
L’intervento è mirato a restringere la larghezza dell’alveo del torrente, in quel punto molto ampia;alla bisogna serviva come area di espansione naturale per attenuare l’impeto delle acque, dopodiché il suo scorrimento viene canalizzato.
Da qui diparte la storia susseguita con i sopralluoghi, gli interventi, le strade di cantiere sugli argini, le ordinanze di evacuazione, la soppressione di antiche strade comunali, le aree pic-nic, i proclami, le misurazioni, le sanatorie, i finanziamenti, la protezione dell’ambiente, gli argini,le sponde, le ristrutturazioni, la protezione dei terreni privati… e l’opera è tuttora in divenire.
Vogliamo si ripeta un percorso analogo? L’inizio pare promettente.
[Lettera firmata]