PRIMALUNA – Il 15 novembre 1762, una data disastrosa nella Storia della Valsassina. Verso le 19, come descrive un Memoriale dell’allora sindaco della Valsassina Massimiliano Manzoni, che ne parla “con le lagrime agli ochj.. spaccatasi una grossa parte di monte per l’estensione di un miglio circa con un’immensa quantità di sassi si rovesciò sopra la terra di Gero, e tutta se la portò via ed ingoiò tutte le Case, Bestie, Mobili ed Abitanti a numero circa di cento” (in realtà 115, 90 di Gero e 15 di Barcone).
Si salvarono solo poche di persone, secondo il Manzoni, tra cui il Regio Cancelliere Ambrogio Chiesa Melesi, per motivi del tutto casuali. Questi era andato a “prendere Tabacco con un altro compagno di scuola” in una rivendita alla periferia di Barcone, ma la sua casa era andata distrutta, insieme purtroppo a tutte le carte catastali effettuate per il Catasto Teresiano del 1757. Altri erano a Lecco a lavorare come “chiodaroli” (come Michele Parolo), un altro Paroli era a Premana come “cavalante” (trasportatore di merci su cavallo), altri uomini sulle montagne “a far carbone”, come Paolo Muttoni.
Alcune donne erano ancora in montagna a raccogliere legna nelle gerle (attività tipica delle robuste donne valsassinesi dell’epoca!), come Maria Giovanna e Angelica Paroli, che angosciatissime videro dall’alto la “terribile scena”.
Ambrogio Paroli, di 75 anni, era andato a Primaluna “ad udire la S. Messa”, Annunziata Melesi, di 60 anni, e Maria Paroli erano andate a Pessina a comprare del pane.
Alcuni furono molto fortunati: Giovanna Combi e altri tre suoi famigliari furono “schiazati” in un angolo della casa “ruinata” e “ricuperati benché tutti pesti e rotti ed ora in mano del Medico”.
Giovanna Artusi rimase viva ma gravemente ferita “in un angolo della casa”, mentre suo figlio Carlo Antonio “fu trasportato dalla cima della rovina” fino praticamente alla rive del Pioverna “senza detrimento alcuno”.
Molte case praticamente “slittarono” dalla loro originale ubicazione al fiume valsassinese. La relazione ci dà quindi anche un interessante spaccato di vita quotidiana: una nuova fenditura “già larga un Braccio” sullo stesso monte minacciava ora di “subissare” anche le terre di Vimogno, Pessina e Primaluna, paesi da cui “li Abitatori vanno fuggendo a precipizio“.
Naturalmente era piovuto molto nei giorni precedenti, e soprattutto alla fine di ottobre: anche a Cremeno, Barzio, Introbio, Cortabbio, Cortenova, Taceno e Bindo il Pioverna e i suoi affluenti avevano provocato gravi danni ai terreni e ai Mulini (siderurgici).
Anche a Premana e Pagnona erano crollate strade, distrutti ponti, inondati terreni: non c’era più passaggio, e gli abitanti rischiavano di non poter più rifornirsi di grano e di “rimanere affamati”.
Il Manzoni venne incaricato di occuparsi dei provvedimenti di emergenza, come chiudere strade e ponti, e togliere i cadaveri non solo di persone ma anche di animali rimasti sotto la frana, che si andavano progressivamente decomponendosi emanando odori pericolosi per la salute pubblica.
Tre anni dopo la disgrazia, nel 1765, essendo rimaste solo 12 famiglie a Barcone e 8 a Gero si decise di riunificare le due comunità in una.
Alcuni “Prepotenti” (come affermava un altro memoriale dell’epoca) avevano però colto l’occasione per scrivere alla Regia Camera, cioè il governo di Milano, che la colpa era stata delle capre, che pascolando avevano brucato troppa erba indebolendo la tenuta del Monte e provocando l’erosione ( la rivalità tra allevatori di capre, di bestiame, e i “legnaioli”, era una caratteristica dell’epoca).
Due lunghi muraglioni vennero quindi successivamente costruiti ai margini dei luoghi interessati dalla frana (nella foto): entro quello spazio non si sarebbe mai più dovuto costruire.
Enrico Baroncelli