PRIMALUNA – “Speriamo che tutto questo dolore possa avere un senso per gli altri”. E ancora: “C’è modo di donare molto di noi, quando siamo ancora in vita”.
Frasi importanti dell’utilissimo racconto della malattia di Gino Deidda, effettuato con lucidità e chiarezza di linguaggio dalla figlia Ivana, 41 anni, perché la sua è una testimonianza che può diventare storia di salvezza per molti malati.
Quando viene chiamata a donare il midollo osseo per il padre, Ivana è mamma di un bambino di due anni e mezzo. Sta ancora lavorando in fabbrica. Siamo a luglio, il mese più impegnativo nella sua azienda. Per fortuna le ferie sono alle porte. Già dal primo giorno di vacanza si precipita a Pavia dove inizia il processo che culminerà con il conferimento di midollo.
Per lei è un passo naturale, fa parte del suo modo di vedere le cose: “Per anni, prima della gravidanza ho donato sangue. Quando è nato mio figlio ho avuto la fortuna d’imbattermi nella donazione del cordone ombelicale, una decisione in realtà da prendere per tempo”. Anche lei non ne conosceva la possibilità, ma mentre aspettava il parto in ritardo sul termine, in ospedale, la informano. “Necessari alcuni moduli firmati e del personale specializzato alla raccolta, tutto deve essere predisposto”.
In ospedale a Lecco si può. “Dovete scriverlo, farne pubblicità, perché le cellule staminali all’interno del cordone sono preziosissime sia per curare alcune malattie, sia per la ricerca scientifica su alcune patologie come ad esempio quella del mio papà”.
Un regalo semplice. Di contro, se non avviene il cordone finisce gettato via con il suo importante contenuto.
Neanche il destino conoscesse l’insita generosità di Ivana, al momento dell’allattamento si scopre che il suo seno produce latte in abbondanza, molto di più del bisogno del figlio: “Mentre lo allattavo da una parte, ne perdevo dall’altra”. Quel latte era destinato ai reparti dei bimbi prematuri, un alimento necessario per le prime fasi di vita di questi neonati. “Non nascondo che a volte mi sono chiesta se ne stavo togliendo a mio figlio, ma l’ho sempre visto tranquillo e appagato. In più continuava ad essercene sia per lui che per i vasetti che riempivo” – racconta ancora Ivana.
In serbo però ci sarà una prova più grande, un impegno. Suo padre Gino non fa neppure in tempo a godersi l’arrivo del primo nipotino che un infarto squarcia una tenebra dove, silente, se ne stava occultata una malattia asintomatica ma tremenda: la mielodisplasia. Improvvisamente per lui non ci saranno più le passeggiate con la moglie Lory d’estate e d’inverno a raggiungere, nell’amata val Biandino, la cascinetta appena risistemata.
Poco dopo la scoperta, le piastrine iniziano la caduta libera, il livello più grave della malattia si palesa.
Loredana Buzzoni, la moglie, prende in mano la situazione, si guarda intorno. A Pavia c’è l’eccellenza in questo campo, il policlinico san Matteo è rinomato tra i migliori in Italia, qualcuno dice addirittura in Europa.
Inizia per i coniugi Deidda il pendolarismo sanitario: a Gino per sopravvivere servono continue trasfusioni di sangue. “Vedi quanto sono importanti i donatori di sangue – osserva Ivana – a me dava fastidio sentire che qualcuno lo faceva per avere la giornata di ferie pagata. Ora non m’interessa più, perché uno ci vada. L’importante è che doni, qualsiasi sia la sua motivazione”.
Niente, l’unica speranza possibile per Deidda è il trapianto di midollo. La donazione ottimale avviene entro i 35 anni del donatore, ma qui la persona meglio compatibile dal punto di vista genetico è la sorella sessantenne Anna. Sarà lei a sottoporsi al prelievo, una vera e propria operazione eseguita da una equipe medica sotto sedazione della donante, a cui viene aspirato il midollo da un osso del bacino, in questo caso l’anca.
Nel frattempo Gino è stato immunodepresso con chemioterapia per ridurre al minimo il rischio di rigetto, dopo il trapianto dovrà restare a lungo nella stanza sterile. Al suo fianco, sempre la Lory.
Dopo un primo momento di speranza, la malattia purtroppo riprende il suo corso. Loredana opta per rimanere a Pavia: è più sicuro restare vicino al centro. Si cerca un altro donatore per riprovarci. Tra i figli Raffaele e Ivana, quest’ultima risulta essere la candidata giusta.
Per lei viene scelta la strada della stimolazione della produzione dei blasti del midollo osseo affinché si riversino nel sangue. Cinque giorni di assunzione di un farmaco specifico. Ma il loro numero non sembra decollare nel sangue di Ivana, i medici già pensano a un piano B, più impattante. “Benché mi chiedessero se sentissi un leggero dolore alle ossa e alla schiena, come quando avessi la febbre, non accadeva nulla”.
Il giorno del prelievo, la sorpresa. Il fisico della donna tutto d’un colpo si sveglia. Viene attaccata alla macchina della raccolta. In un braccio il sangue viene prelevato, nell’altro viene rimesso dopo il filtraggio. È un’operazione che di solito occupa dalle 4 alle 8 ore. Per taluni soggetti anche in più sedute. Ivana invece è in iper produzione, dopo solamente un’ora e tre quarti quello che serviva al padre è nella sacca. “Allora ho sentito dalla dottoressa Del Fante – racconta lei stessa – qualcosa che non dimenticherò mai: Signora, ci ha stupiti. Mi ha fatto sentire utile al mio papà”.
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