STORIA E STORIE: DON TORRI (PARTE SECONDA). L’IRA DI DIO SUI GOLOSI E INTEMPERANTI VALSASSINESI



Avevamo già parlato nella prima parte di questo articolo della interessante figura di don Antonio Torri, parroco di Primaluna, facente funzioni dal 1840 al 1861, molto compianto sia dai parrocchiani che dai suoi confratelli sacerdoti.

Certamente la sua mentalità era ancora quella classica, quella tradizionale austera e moralista della Chiesa cattolica, in un’epoca invece che si stava avviando a trasformazioni economiche e sociali piuttosto radicali, a cui però la Chiesa risponderà a fine secolo con la “Rerum Novarum”. Lo si denota in particolare nelle prediche in cui parla delle “Disgrazie nelle campagne” e ancor più in quella sul “Colera del 1855”, quella da cui si originò la processione introbiese in Val Biandino il 5 agosto di ogni anno.

Nella prima predica denota che “la campagna (la prima e unica sorgente della vera ricchezza) da alcuni anni ci si mostra colpita da sterilità nei più importanti suoi prodotti”. Torri per un attimo dimentica di stare in Valsassina, dove le vere sorgenti di ricchezza erano le numerose officine di ferro e le relative miniere (anche se all’epoca ormai esaurite o quasi) mentre, come dimostra anche il Catasto teresiano del 1755, la proprietà terriera, quella di fondovalle utile all’agricoltura, era molto spezzettata probabilmente in tanti orti domestici per un consumo famigliare limitato.

È interessante però che ci ricordi che anche la vite era coltivata in Valsassina, con una certa produzione di vino locale, anche se all’epoca “un male occulto la intisichisce e la rende infeconda. Una specie di polvere bianchiccia cosparge la sua foglia e i suoi grappoli, mandando a totale distruzione la vendemmia”. Era la malattia “crittogama”,”diavoleria di nome che non so cosa voglia dire”. Oltre “il male dell’uva ecco ci incoglie quello dei bachi da seta, dei bigatti” e anche qui Torri ci conferma l’esistenza nell’Ottocento di diverse filande e torcitoi, anche se non numerosi come nella vicina Brianza. “Cominciò l’anno scorso, la raccolta dei bozzoli riuscì poverissima”.
Molti hanno cercato di cambiare semente, cercandola all’estero “oltre i mari e i continenti”, ma non c’è stato nulla da fare, anche quella fece “la medesima pessima riuscita”.

Ma qual è l’origine prima di tutte queste disgrazie, compreso il gelo che rovina i raccolti, la brina d’estate e altro? Torri non ha dubbi, le disgrazie sono una conseguenza dell’ira di Dio, quel “Dio provvido e regolatore di tutto, che presiede al governo delle stagioni”. Non servono “alambiccamenti degli scienziati”: Dio può muovere la Natura anche contro di noi, “mandando a vuoto le nostre fatiche nella coltivazione della terra”.

E chi è che ha fatto arrabbiare Dio contro gli uomini? “Ci avete la vostra parte di colpa voi, golosi e intemperanti, che come immondi animali agognate solo a mangiamenti e a bevonerie”. “Voi, giovani d’ambo i sessi, che colle vostre ambizioni e pompe, coi vostri interminabili amorazzi, colla lubricità dei vostri colloqui, colla licenza delle vostre mani… vi tramutate in luridissimi vasi di malizia e di corruzione”. La colpa è dei “sordidi avari”, dei “blateroni” che sparlano male degli altri, dei “rubatori della roba d’altri”, degli “odiatori irreconciliabili dei fratelli”.

I peccati sono quindi all’origine dell’ira di Dio, e delle successive disgrazie, e qui Torri riecheggia in modo molto evidente alcuni degli “Atti” di San Carlo Borromeo. Ad esempio in occasione della Peste di Milano del 1575 l’arcivescovo milanese predicava fortemente che la peste fosse originata dal comportamento licenzioso dei milanesi, dal loro frequentare bettole ed osterie: voleva persino abolire il Carnevale, momento di massima licenziosità e trasgressione alle cristiane leggi morali.

Il Cattolicesimo del Torri era quindi fortemente improntato, ancora, alle dottrine morali stabilite dal Santo Arcivescovo e soprattutto dal Concilio Controriformistico di Trento, conclusosi nel 1564, i cui Atti sicuramente Torri aveva studiato bene.

Anche in occasione del Colera del 1855, Torri rileva che Dio “ci ha castigato di meno” in confronto alle “spaventevoli stragi, che recò in tanti altri paesi, possiamo dire che noi ne fummo avventurosamente preservati”. “Il Signore dapprima rivolse a noi la sua fronte sfolgorante dello sdegno di giudice irritato, poi subito ce la mostrò tutto improntato dalla calma e dalla dolcezza di padre pacato e benevolo. L’avevamo offeso, avevamo in corso il suo severo castigo, ma contro i nostri meriti non ce l’ha applicato”.

“Il Cristiano sa che Iddio manda le pubbliche disgrazie in punizione dei peccati, in soddisfazione della sua Giustizia”.

Però molte “anime dure ed ostinate, che erano peccatrici avanti lo scoppio del divino castigo”, hanno continuato ad esserlo anche dopo, senza capire i moniti e la lezione.

Così è inutile cercare di ottenere “le intercessioni di San Rocco (il Santo protettore dalle pestilenze) contro l’attacco del colera: “quella donna fece l’offerta di un lungo pezzo di tela; ma poi ha dismesso di adoperare quella maledica sua lingua contro il prossimo?”

“Quella giovane offrì il più bello suo vestito: ma poi si è corretta di quella sua smania per la pompa (cioè per i bei vestiti) e per gli amoreggiamenti?”

“Quella moglie offrì qualche candela a San Rocco: ma ha poi cessato d’essere altera, insolente, rabbiosa col proprio marito e di provocarlo all’ira colle sgarbate sue risposte?”.

“Quel giovane ha rotta quella tresca scandalosa che da tempo va mantenendo?”

“Ah purtroppo molti non fecero che una conversione apparente, superficiale, inefficace”.

Come si vede anche da questi brevi accenni l’interesse e vorrei dire la gustosità di queste prediche ottocentesche del Torri, per il lettore di oggi, sono anche e forse soprattutto nel darci brevi quadretti di vita famigliare, descritti con breve ma incisivi tratti, anche psicologici, di vita comune e quotidiana.

Alcuni argomenti, descritti nella predica sulla “Pace domestica”, sono veramente introspettivi e danno preziose informazioni su come viveva la gente nella Valsassina dell’Ottocento, e sulla mentalità dell’epoca.

Ne parleremo nella terza parte di questo articolo…

Enrico Baroncelli

 

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