Nel Vangelo di oggi ancora una volta Giovanni ci propone un miracolo di Gesù, la guarigione del cieco nato, come segno di una luce più grande offerta ad ogni uomo: la luce della fede in Lui. Dice infatti: “Io sono la luce del mondo”. Fra i molteplici spunti di riflessione che questa pagina ci offre, ne ricordiamo due.
1. Gesù smentisce quella falsa convinzione che l’essere nato cieco fosse a motivo del peccato di quell’uomo o dei suoi genitori. Anche noi oggi, davanti all’epidemia del coronavirus, possiamo essere tentati di interpretarla molto sbrigativamente come un castigo di Dio per i nostri peccati, quando invece dovremmo fare una riflessione più profonda, illuminata dalla parola di Dio. E se anche questa epidemia fosse una occasione perché si manifesti la gloria di Dio? Come?
2. Ma il punto cruciale di questo Vangelo sta nel dialogo finale fra Gesù e il cieco guarito: “Tu credi nel Figlio dell’uomo?” “E chi è, Signore, perché io creda in lui?” “Lo hai visto: è colui che parla con te” “Credo, Signore”, e gli si prostrò davanti. L’espressione, in verità piuttosto enigmatica, “Figlio dell’uomo” ci suggerisce di pensare a Gesù che scende nelle profondità dell’esperienza umana, uomo fra gli uomini, facendola propria. Così, in questo incontro possiamo riconoscere l’incontro fra due persone escluse
– Gesù, del quale si dice, subito prima di questo vangelo, “raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio”;
– il cieco, “sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi? e lo cacciarono fuori”. Ora il cieco si ritrova davanti Gesù non più solo come operatore di miracoli, ma come l’uomo che condivide la sua esclusione: l’uomo del dolore, fattosi nostro fratello. Con l’incarnazione, la luce di Dio non è luce sfolgorante come si presentò a Mose, ma è luce nascosta nella carne umiliata di Gesù: lì va cercata.
Nella concretezza della sua carne umiliata, Gesù continua a dire al mondo la concretezza dell’amore di Dio per noi.
Don Gabriele vicario parrocchiale