Il Vangelo di oggi è fra le pagine più vicine a noi uomini moderni imbevuti di scienza, che credono solo a ciò che possono sperimentare. Così è stato Tommaso: “Se non vedo con i miei occhi e non tocco con le mie mani, non credo”: ha visto, ha toccato e ha creduto: “Mio Signore e mio Dio”.
E tutto questo Tommaso l’ha fatto anche per noi.
Ci sentiamo debitori a Tommaso, al rimprovero ricevuto da Gesù per la sua incredulità, dalla quale è nata la beatitudine per noi: “Perché hai visto Tommaso hai creduto. Beati quelli che pur non avendo visto crederanno”.
Noi non abbiamo visto, ma siamo qui perché crediamo, con tutti i nostri dubbi, le nostre incertezze, le nostre fatiche, ma anche grazie alla testimonianza di tanti che hanno creduto prima di noi, alla testimonianza di chi ha scritto queste cose “perché credendo avessimo la vita nel suo nome”.
Questo Vangelo ci suggerisce due considerazioni.
Anzitutto ciò che Gesù sembra rimproverare a Tommaso è il non aver creduto alla testimonianza degli altri apostoli.
Voleva credere da solo, a partire da un’esperienza personale di Gesù, mentre invece tutti questi Vangeli di Gesù risorto parlano di incontri personali con lui non cercati, dai quali scaturisce l’andare ad annunciare agli altri.
Ancora oggi si crede insieme, e quanto abbiamo bisogno e ci è di aiuto la testimonianza di fede di altri: di santi, di peccatori convertiti, di perseguitati per Gesù, di sacrifici e di gioie custoditi da Gesù, da persone vicine a noi.
C’è poi una seconda considerazione.
L’uomo moderno è particolarmente somigliante a Tommaso, apostolo del dubbio.
Oggi c’è una difficoltà oggettiva a credere superiore ai tempi passati: quando la fede si deve misurare con le nuove scoperte e invenzioni in tutti i campi che sembrano mettere in dubbio le certezze della fede.
Non spegniamo le domande in noi: sono l’occasione e lo stimolo per giungere ad una fede più consapevole e convinta, meno abitudinaria e sicura di sé.
Vorremmo arrivare con Tommaso a dire a Gesù: “Mio Signore e mio Dio”, ma forse siamo fermi alla fede di quel padre che, chiedendo la guarigione del proprio figlio, diceva a Gesù: “Io credo Signore, ma tu aumenta la mia fede”.
Prima di una fede forte, spesso malintesa perché vissuta come una fede presuntuosamente sicura di sé, abbiamo bisogno di una fede vera.
E questa non è frutto dei nostri ragionamenti o della nostra volontà, ma è dono di Dio umilmente e liberamente accolto.
Don Gabriele
Vicario parrocchiale