VALSASSINA/URUGUAY – Essere curiosi è una delle caratteristiche degli esseri umani. Questo istinto porta molte volte a indagare nel passato per avere informazioni sulle origini, sui fatti e altro ancora. In questo caso una ricerca molto approfondita su internet ha dato dei risultati veramente notevoli.
Nel secolo scorso molti valsassinesi hanno deciso di cercare la fortuna altrove. Alcuni sono andati in altri paesi europei, altri hanno tentato in Nord America e molti altri nel continente sudamericano.
Tra questi, mio nonno Ambrogio che alla fine degli anni ’20, insieme ad altri conterranei decise di intraprendere un lungo viaggio verso terre sconosciute.
La ricerca ha prodotto diversi risultati, una data precisa, 19 settembre 1927, un luogo di partenza, il porto di Genova, un luogo di arrivo, la città di Montevideo capitale dell’Uruguay, una nave di nome Pincio e tre cognomi per quattro persone: Manzoni, Paroli, Baruffaldi.
Il foglio di imbarco della nave Pincio riporta ai punti 11, 12, 13 e 14 i nomi di Ambrogio Manzoni di 26 anni, Mario Baruffaldi (16enne), Bernardo Paroli di 37 anni e Natale Baruffaldi di 27. Entrambi i Baruffaldi indicati nella lista con una sola “f” nel cognome.
Tutti originari di Primaluna, sicuramente nella frazione di Cortabbio, viaggiavano in terza classe dichiarandosi agricoltori con destinazione Montevideo.
Cercherò di raccontare la storia di uno di loro, mio nonno Ambrogio, indagando nella sua vita valsassinese e in quella montevideana, percorrendo con lui l’esistenza di tanti altri valsassinesi che in quel periodo – per un motivo o per l’altro – hanno deciso di lasciare la Valle per “trovare l’America”.
CAPITOLO 1: LA CASA DE LOS LOCOS
Il primo impatto dei quattro valsassinesi quando il vapore Pincio attraccò nel porto di Montevideo fu quello che a inizio ottobre in Sudamerica non si fa la vendemmia ma si inizia a preparare l’orto…
Si, perchè da quelle parti il mondo è “alla rovescia”, quando in Valsassina ci si prepara ad affrontare l’autunno e il lungo inverno, a Montevideo i jacarandà iniziano a fiorire e la primavera si respira nella brezza che arriva dal Rio de la Plata.
Uno alla volta iniziarono a scendere dalla nave, portandosi dietro la loro valigia di cartone, lo zaino da caccia sulla spalla e i documenti stretti tra le mani.
“Tutti in fila” ripetevano gli impiegati della Migrazione, e queste erano le uniche tre parole che avevano imparato in italiano, tutto il resto era spagnolo rioplatense, quello che si parla a Montevideo e Buenos Aires, un castigliano diverso da quello spagnolo con qualche parola in dialetto italiano e tanti vocaboli in lunfardo, sorta di dialetto locale.
Ambrogio, Mario, Bernardo e Natale rimasero insieme tutta la mattina in attesa del loro turno, poi, dopo aver compilato a fatica alcuni documenti, dichiarando nome, cognome, data e luogo di nascita, professione e aver indicato il luogo dove avrebbero soggiornato, i valsassinesi ricevettero un semplice “bienvenidos a Montevideo”.
La città che si estende per 20 chilometri da est ad ovest e da sud a nord è un posto accogliente. A differenza della Valsassina non è circondata da monti e montagne, soltanto il “Cerro de Montevideo” alto 134 metri taglia la visuale verso l’orizzonte, tutto il resto è piano e lo sguardo si perde guardando in lontananza.
Uscendo dal porto i quattro si guardarono senza aprire bocca, solo uno di loro cercò in tasca un foglio di carta stropicciato e guardandolo disse: “Calle Vilardebò 37, di fronte alla casa de los locos”.
Camminarono per qualche isolato fino ad arrivare a una strada trafficata, dovevano orientarsi, chiedere informazioni, cercare notizie per arrivare al punto di ritrovo.
Chiesero ai passanti, gesticolando più che parlando e facendo vedere il pezzo di carta. Cambiarono le poche lire che avevano in tasca in una “agencia de cambios” e seguendo le indicazioni di un gentile signore, salirono su un autobus con destinazione Carrasco, era il numero 116, e ancora una volta chiesero (sta volta al conducente). “A si” rispose, “vi avviso io quando arriviamo al manicomio, mettetevi comodi che il viaggio è lungo”.
Un percorso lungo e tortuoso, iniziava così la prima giornata nel nuovo mondo per quattro valsassinesi.
CONTINUA
Fernando Manzoni