BARZIO – Produrre fiorume per assicurare ai prati la biodiversità è possibile, una pratica alternativa alle sementi industriali estranee all’ecosistema. Il naturalista Andrea Ferrario, ospite dell’associazione culturale La Fucina, ha presentato a Barzio la filiera del fiorume, ovvero la raccolta di sementi dai prati stabili non più in forma occasionale ma seguendo un metodo che garantisca un ritorno economico.
Il fiorume viene raccolto da prati simili a quelli che si vogliono inerbare, dunque si tratta di semi già di per sé adattati al clima e alle condizioni locali, e che non creano inquinamento genetico come invece avviene con semi industriali selezionati e coltivati altrove.
La filiera è stata messa a punto al Centro Flora Autoctona del Parco del Monte Barro e parallelamente all’aspetto commerciale valorizza anche i prati stabili che non vengono impoveriti dalla fienagione. L’approccio del team del Cfa del Barro è originale e sta facendo scuola. Per gli agricoltori mettere a disposizione i prati è una fonte di reddito, ma ovviamente non tutte le aree sono idonee alla raccolta: analisi preliminari permettono di valutare la biodiversità e ogni altra potenzialità del prato. Un passo importante è individuare il momento giusto per la raccolta, trovando un equilibrio tra le esigenze di fienagione e quelle della maturazione dei semi.
Entrando nel vivo della raccolta, Ferrario e i suoi collaboratori hanno sperimentato diverse tecniche, anche testando macchinari appositamente fatti arrivare da Canada e Inghilterra. Quella detta della “spazzolatura” si è rivelata essere un buon compromesso: si pettina il prato con delle spazzole che possono essere installate su macchina a spalla o su carrello trainato. Segue un periodo di essicazione e poi la trinciatura, che permette di rendere omogeneo il fiorume senza che sia necessario separare i semi dal resto del materiale raccolto. Al termine della filiera vi sono ulteriori analisi che stabiliscono le caratteristiche di quel fiorume e ne certificano il livello di qualità. Infine, a seconda della destinazione finale del fiorume, si può arricchire la produzione con semi di fiori in purezza.
Per arrivare a queste conclusioni il CFA ha operato a lungo ai Piani di Artavaggio, riuscendo a raccogliere fiorume e riprodurre i tipici alpeggi locali. Esperienza che è servita poi per inerbare le piste da sci del comprensorio di Lizzola, all’interno del Parco delle Orobie Bergamasche, dove una volta sciolta la neve invece della “erbetta all’inglese” riappare la flora autoctona.
Tra i risultati raggiunti Ferrario ha portato all’attento pubblico il praticello commissionato da Save the Children all’Expo di Milano nel 2015. Seminato con fiorume ha resistito all’estate mantenendosi rigoglioso mentre la striscia accanto, del padiglione del Brasile, seminata con materiale convenzionale, e che al primo caldo si è inaridita.
Più significativa ancora è l’esempio della cava di Valle Oscura, sul Barro, dove da decenni opera la Holcim di Merone. Le aree non più scavabili, grazie al recente approccio al fiorume, si stanno lentamente ricoprendo di vegetazione autoctona.
C.C.