BARZIO – Barziesi “chiodaroli”, un appellativo che racchiude 400 anni di storia quasi dimenticata così come perse sono le tracce delle fucine alimentate dal corso della Bobbia.
Dagli studi di Federico Oriani – presentati ieri sera al numeroso pubblico de La Fucina – emerge una Barzio polo siderurgico pre industriale al servizio della Milano spagnola con tanto di indotto carbonifero e dei trasporti.
Una dozzina gli edifici, dotati di ruota idraulica e maglio, dove si producevano principalmente chiodi destinati alla vendita sul mercato di Lecco, trasportati rigorosamente a spalla o cavallo – la via per Lecco divenne carrabile solo nel 1861.
Nel quindicesimo secolo infatti la siderurgia si impose come prima risorsa economica della Valsassina, soppiantando la trecentesca produzione della lana. Fucine sorsero a Premana, in minor parte a Introbio e Cortenova, tracce anche a Primaluna e Cremeno. A Barzio il corso in pendenza del torrente, la presenza di boschi a monte per garantire carbone e l’assenza di coltivazioni da irrigare a valle, resero la Bobbia luogo ideale per sviluppare questa attività. Condizioni favorevoli date anche dalla temperatura delle sue acque, più calde e dunque capaci di assicurare fino a dieci mesi di attività ai magli.
Per le ricerche di Oriani si sono rivelati fondamentali i catasti delle diverse epoche, soprattutto il Settecentesco Catasto Teresiano e il preunitario del 1858, ma anche fonti napoleoniche ribadiscono la centralità del polo siderurgico barziese per l’area milanese che, da solo, contava più occupati che nelle omologhe produzioni di Lecco, Introbio e Cortenova messe insieme.
Una fase importante della storia di Barzio e della Valsassina dunque che seppur perduta nelle testimonianze materiali non deve andar dispersa nella memoria collettiva dei cittadini di oggi.
C.C.