Gentili signori,
la visione di don Lucio Galbiati, sacerdote cattolico della chiesa di Barzio che benedice i cacciatori per la festa di Sant’Uberto non ci meraviglia visto che segue la stessa procedura di altre chiese in Italia.
Eppure il V comandamento dice chiaramente: Non uccidere. Punto e basta. Gli animali non nascono, non vivono, non mettono al mondo figli, non hanno paura, non hanno fame, non soffrono,….. non sanguinano?
Per il parroco di Barzio, gli animali hanno soltanto un modo per essere considerati: morire ma non di morte naturale bensì di orgiastica violenza. E per cosa? Per l’eccitamento dei cacciatori, di coloro che osano proclamarsi tutori della natura, nobili benefattori, custodi dell’ambiente. Per queste menzogne che sfociano nello strazio di tante vite vengono benedetti.
Ma:
se è nobile uccidere milioni di uccelli e di mammiferi innocenti ad ogni stagione venatoria: sì la caccia è nobile;
se è nobile uccidere, ferire, amputare decine di umani ad ogni stagione venatoria: sì la caccia è nobile;
se è nobile mandare i cani a farsi infilzare dalle zanne dei cinghiali: sì la caccia è nobile;
se è nobile spargere nella terra, nell’acqua, nel corpo degli animali il piombo, peggior veleno secondo l’OMS: sì la caccia è nobile.
Questi personaggi che operano per tale “nobile” causa è giusto che vengano benedetti da chi ha trasformato il significato di bene in male, di rispetto in violenza, di compassione in efferatezza, per ottusità, ipocrisia o tornaconto, che maschera i significati per venderli agli inetti.
Il motivo per il quale Sant’Uberto, nato intorno all’anno 655 d.c. in Aquitania, è stato nominato protettore dei cacciatori, è basato su una leggenda (racconto tradizionale ricco di motivi fantastici o soprannaturali) che è facile intuire come possa essere stata generata visto che le leggende erano il pane quotidiano dell’epoca.
La leggenda racconta che Sant’Uberto fu appassionato di caccia e condusse una vita sregolata ma, durante una battuta sembra abbia avuto la visione di un crocefisso tra i palchi di un cervo che lo avrebbe invitato ad abbandonare la sua vita dissoluta e a convertirsi, cosa che egli fece di seguito. Infatti, dopo l’incontro con il cervo smise di andare a caccia e condusse una vita molto semplice.
Per tale leggenda sarebbe più conseguente dire che Sant’Uberto dovrebbe essere il patrono dei cacciatori pentiti.
Ci auguriamo un travaso di coscienza.
Mariangela Corrieri
Presidente Associazione Gabbie Vuote ODV Firenze
LEGGI ANCHE:
BENEDIZIONE DEI CACCIATORI, BLITZ ANIMALISTA NELLA CHIESA DI BARZIO