Ci fu gran movimento quella notte, in un angolo sperduto del mondo, nei dintorni di un paesino dal nome molto significativo: casa del pane. Una stella mai vista, una luce intensa, il canto degli angeli invita tutti in quel luogo…e tutti….non videro che Gesù.
In una mangiatoia…li dove tornano sempre gli animali quando hanno fame.
C’è una grande inclusione nella vita di Gesù: la mangiatoia e il Cenacolo. All’inizio viene deposto in questa mangiatoia, alla fine dirà ai suoi: Prendete e mangiate.
Questo è il modo con cui Gesù ha vissuto tutta intera la sua vita. Ha vissuto un amore che si esprime in questo mettersi nelle mani degli altri, un abbandonarsi nelle mani degli altri, senza condizioni. “Prendi mangia, questo è il mio corpo”. È ciò che avviene in ogni celebrazione eucaristica. Questo è Gesù, è colui che si consegna. Come cibo che dà vita. Non è che si consegna adesso perché essendo bambino, per forza, come tutti i bambini, si affida a noi. No! Quello che avviene all’inizio avverrà sempre nella vita di Gesù; si offrirà sempre. non si imporrà mai a nessuno.
Fasciato e sdraiato: sono termini, che non nella loro precisione, ma nel senso che danno, richiamano esattamente quanto avverrà alla fine della sua vicenda tra noi. Qui avvolto in fasce, là avvolto in un lenzuolo; qui deposto in una mangiatoia, l’ha deposto in un sepolcro. Allora, chi scrive i Vangeli davanti a sé ha il mistero Pasquale di Gesù, ed è la luce di questa Pasqua che si rilegge ogni istante della vita di Gesù.
C’è lo stesso amore grande, esagerato, ostinato, immeritato, per noi, da sempre e sino alla fine. Veramente Dio con noi.
“Avvolto di stracci” scriveva don Luigi Serenthà in una bellissima preghiera. Un povero corredo portato con se da Maria? Oppure offerto da parenti di Giuseppe o da qualche persona gentile? O stracci nel vero senso della parola ottenuti da Maria da qualche parte dei suoi abiti? Poi, Gesù, sarà capace di trasformare stracci di persone in uomini e donne bellissimi.
Avvolto dal silenzio. Perché risuonasse tremendamente forte l’unica parola che veramente può riempire tutto l’universo: Amore. Meglio, il vero nome dell’amore: nome Gesù.
Non videro che Gesù. È li e sorride. Sorride a chi cerca di piacergli, di essere affettuoso, simpatico. Davanti a un bimbo piccolo diamo il meglio di noi stessi. Non ci frena l’imbarazzo di fare facce di cambiare voce, di fare gesti e versi strani.
Sorride perché si sente tranquillo, protetto. A volte siamo come un prolungamento dell’abbraccio di mamma e papà. Avverte la nostra tenerezza, la nostra gentilezza, la nostra mitezza.
Sorride perché allattato, ha mangiato amore puro da parte di sua madre.
Sorride perché scaldato dal respiro di vita, di chi torna alla mangiatoia perché ha fame. È anche il respiro di persone semplici che gli si avvicinano, non sempre persone per bene…persone capaci di gesti di attenzione vissuti nella più totale gratuità. È contento quando riusciamo a fare del bene senza quasi sapere che lo stiamo facendo.
Avverte forse anche che ci percepiamo fragili e disarmati e per questo sorride. E noi ci uniamo al sorriso perché finalmente capaci di ridere del nostro affannarci inconcludente per ciò che non serve, dei nostri deliri di onnipotenza, delle nostre false umiltà, delle nostre presunzioni e delle nostre assurde ambizioni, delle nostre goffe illusioni, della nostra capacità di trasformare tutto in tragedia.
Ha le braccia aperte, cerca il contatto, il calore, il profumo, si fida. È Dio e vuole abbracciarci…senza fare preferenza di persone. Lo farà sempre. E le avrà inchiodate aperte quando morirà perché non avessimo mai a dubitare del fatto che per quello che facciamo di male potessero prima o poi alzarsi contro di noi e colpirci.
Don Stefano Colombo
Casa Paolo VI – Concenedo