DON STEFANO COMMENTA IL VANGELO DELLA 10ª DOPO PENTECOSTE



Come commento al Vangelo della decima domenica dopo Pentecoste voglio condividere con voi due riflessioni, la mia e quella di un giovane sacerdote, che Mercoledì sera con un gruppetto di persone abbiamo fatto in semplicità e fraternità, durante l’incontro che ogni settimana presso casa Paolo VI facciamo dalle 20.30 alle 21.30. In realtà sarebbe stato bello riportare gli interventi di tutti molto ricchi e profondi.

Il brano di Vangelo si riferisce alla cosiddetta “cacciata di dal tempio dei mercanti e dei cambiavalute”

Io ho condiviso questo pensiero:

Questa sera il Signore mi dice: Stefano, ti senti povero? Ti sembra di essere cieco e di non capirci nulla della verità e della volontà di Dio, di non vedere il senso di tante cose, di essere immerso nella nebbia e nelle tenebre del mondo? Ti sembra di essere uno zoppo che non riesce a camminare nella mia volontà? Che inciampa e cade facilmente? Che sempre ha bisogno di un aiuto a rialzarti, e di un sostegno per non cadere?

Oppure ti senti sempre tanto piccolo, come un bambino bisognoso di tutto?

Ti dico: la mia casa è la tua casa, c’è posto per te. C’è posto per tutti! Racconta a tutti che tutti voglio accogliere nel mio amore.

Il giovane sacerdote, anche lui di nome Stefano, ha condiviso queste parole.

Questa sera in Signore mi dice di non scendere a compromessi né con gli idoli falsi, né con le forme di religiosità formali e senza cuore. Sono da scacciare gli idoli, sono da rovesciare le false abitudini che propiziano un Dio che non c’è. Occorre svuotarsi di tutto ciò per farsi accogliere nello spazio che sembra impossibile, inaccessibile: quello della intimità con Cristo. Il Signore mi dice che posso farmi accogliere proprio a partire da quelle cecità e storpiature che dicono tanto di me, quelle fragilità che, in fondo, mi identificano. Cosi si libera lo spazio abusivamente occupato da ciò che non sazia davvero, per farsi accogliere in quell’unico rapporto vero e profondo che guarisce le storpiature e che accoglie con benevolenza tutto di me. Si fa larga l’urgenza della povertà: i ricchi piazzano tra se e la propria gioia le proprie idolatriche sicurezze che alla fine svuotano il cuore e mangiano la vita. I poveri non mettono altro tra se e la propria gioia, tra sé e il proprio Signore, se non il proprio nulla e la propria fragilità.

Ha poi rivolto al Signore questa preghiera:

fammi forte perché mi lasci togliere da me ciò che non dà gioia,

fammi umile, Signore, per mettere nelle tue mani accoglienti il mio peccato e la mia fragilità.

Fammi povero Signore, per amare la piccolezza di riconoscerti e così cantare la tua presenza: Osanna!

Don Stefano Colombo
Casa Paolo VI – Concenedo

 

 

 

 

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