AMBIENTE/LUCA ROTA TORNA ALL’ATTACCO SU PRESENTE E FUTURO DELLO SCI



VALSASSINA – Riceviamo e pubblichiamo integralmente di seguito un lungo intervento di Luca Rota, scrittore e blogger lecchese da tempo impegnato in una campagna a sfondo ambientale contro l’edificazione di impianti di risalita sotto la quota dei duemila metri.

Ecco le parole di Rota, destinate inevitabilmente a riaccendere la polemica (mai sopita) in materia. Per i vostri commenti inviateci una e mail qui oppure utilizzate la pagina Facebook di VN.


Alta Valsassina, Piani di Bobbio, Artavaggio… Perché costruire impianti di sci sotto i 2000 metri non è più una cosa razionale e di buon senso 

La stagione invernale si sta avvicinando: i comprensori sciistici riprenderanno l’attività e ugualmente ripartirà il dibattito sul presente e sul futuro dello sci nell’era del cambiamento climatico nonché sulla convenienza di costruire nuovi impianti di risalita e relative infrastrutture turistiche in certi ambiti geografici che stanno subendo gli effetti del riscaldamento del clima.
Di nuovo, è pressoché garantito, il dibattito suddetto si alimenterà di molte prese di posizione di parte, di strumentalizzazioni ideologiche e di contrapposizioni d’opinione tanto legittime quanto ben poco utili a dirimere la questione, soprattutto nell’ottica di uno sviluppo dei territori montani ben equilibrato con le esigenze di salvaguardia ambientale sempre più ineludibili, nella realtà corrente. Per la montagna e le sue comunità sarebbe bene starsene fuori da quel pantano di parole viepiù sterili e non dimenticare che, come e più che altrove per ogni opera dell’uomo, qualsiasi intervento da attuare nei territori di montagna, tanto pregiati quanto delicati, dovrebbe innanzi tutto essere la manifestazione del più compiuto buon senso, come d’altronde insegna la storia della presenza umana nelle terre alte, e non di affarismi di qualsivoglia genere o di atteggiamenti avulsi sia dalla realtà delle cose che dal vissuto di chi in montagna vive e vorrebbe continuare a farlo.
Sulle montagne della Valsassina soprattutto due sono i progetti dei quali fino alla scorsa stagione si è discusso: quello denominato “Winter & Summer Alta Valsassina“, tra l’Alpe di Paglio e il Pian delle Betulle, e quello che prevede nuovi impianti nel comprensorio dei Piani di Bobbio (al servizio della pista di discesa sul versante di Nava, soprattutto). A margine ci sarebbe anche l’intervento presentato qualche tempo fa per i Piani di Artavaggio, il quale tuttavia pare sia stato messo e permanga in stand-by.
Il “buon senso”, dicevo: «la capacità di comportarsi con saggezza e senso della misura, attenendosi a criteri di opportunità generalmente condivisi» si legge al riguardo su un buon dizionario. Quali sono i criteri più «generalmente condivisibili»? Ovviamente quelli basati sulla realtà oggettiva, sui dati di fatto scientifici (in quanto tali innegabili, a meno di voler negare la realtà stessa in modi obiettivamente psicopatologici) sui quali costruire la più equilibrata capacità di comportamento con saggezza e senso della misura. Dunque, alla domanda se quelli che si vorrebbero investire ai Piani di Bobbio e in Alta Valsassina siano soldi ben spesi o mal sprecati voglio provare a rispondere stando ben lontano dal suddetto dibattito “classico” e sterile ma cercando una risposta di buon senso cioè razionale, basata sui dati di fatto rilevati dalla scienza e messi nero su bianco nei report e nelle serie storiche meteoclimatiche. Il tutto, fermo restando il massimo rispetto per i soggetti coinvolti in quei progetti: su di questi si centra il focus di quanto leggerete, non su altro.
Posto che entrambi gli interventi sciistici valsassinesi sarebbero da realizzare a quote inferiori ai 1800 metri, per prima cosa ho chiesto al Centro Geofisico Prealpino, ente scientifico prestigioso che ha sede in un territorio del tutto affine a quelli sopra citati, un’analisi della realtà climatica storica recente e attuale sulle Prealpi Lombarde, dunque perfettamente valida anche per le montagne della Valsassina. Ecco qui: “La serie di Campo dei Fiori parte dall’inverno 1975 e dice già cose interessanti. Le temperature medie invernali nei 50 anni esatti dal 1975 al 2024 sono aumentate, da regressione lineare, di 2,4 °C. L’ultimo inverno 2023-24 è stato il più mite (media 4,2 °C), e 7 dei 10 inverni più tiepidi si sono concentrati dopo il 2000. La media degli ultimi 10 inverni è di 2,3 °C a quota 1226 m, e lascia supporre una quota media degli 0 °C invernali a circa 1700 m”.
Ciò in soldoni significa che sulle nostre montagne sotto i 1.700 metri di quota, e a qualsiasi esposizione, già ora la permanenza della neve al suolo non è più garantita. Anche se nevicasse, la temperatura non è quella adatta al mantenimento e comunque gli episodi di pioggia saranno più probabili di quelli nevosi. Questo è un primo innegabile (dacché scientifico) dato di fatto. Ecco, tornate un attimo sopra a rileggere le quote degli impianti progettati in Valsassina e capirete già bene come stanno le cose.
imgMa andiamo oltre: ancora nel marzo 2021 Daniele Cat Berro e Luca Mercalli, della Società Meteorologica Italiana, citando un approfondito studio dell’EURAC Research (entrambi enti scientifici altrettanto prestigiosi, di nuovo), scrivono che “Oltre allo spessore della neve, a ridursi è anche la sua durata: sul versante sudalpino la lunghezza della stagione innevata è diminuita in media di 24 giorni sotto i 1000 metri, e di 34 giorni tra 1000 e 2000 metri, ovvero oltre un mese (all’anno) di suolo innevato in meno”. In pratica significa che se pur nevicasse – cosa sempre più improbabile sotto certe quote, vedi sopra – la neve al suolo ci sta per sempre meno tempo, il che rende economicamente insostenibile il costo di esercizio e di gestione degli impianti e delle piste di un comprensorio sciistico posto sotto i 2000 metri di quota, ancor più a quote inferiore. Ecco dunque un secondo innegabile (dacché scientifico) dato di fatto.
Peraltro, le analisi del Centro Geofisico Prealpino e della Società Meteorologica Italiana sono confermate da un altro prestigioso ente scientifico d’oltreconfine, l’Ufficio federale di meteorologia e climatologia MeteoSvizzera, che in un recente report dall’eloquente titolo Inverni poveri di neve, così rimarca: “Gli inverni saranno notevolmente più caldi entro la metà del secolo. Sebbene ci saranno più precipitazioni, cadranno più frequentemente sotto forma di pioggia a causa delle temperature più elevate. In particolare nelle regioni più basse, nevicherà meno spesso e in quantità minori. Le aree nevose della Svizzera si ridurranno quindi notevolmente”. È un terzo innegabile (dacché scientifico) dato di fatto, quindi.
Andiamo ancora avanti. Di recente, “Il T Quotidiano“, organo di informazione indipendente trentino, ha pubblicato un’intervista a Roberto Barbiero, climatologo dell’Agenzia provinciale per la protezione ambientale il quale, nel riferire circa l’impatto dei cambiamenti climatici in montagna, ha rimarcato che “una delle conseguenze più evidenti sarà l’innalzamento della quota di affidabilità della neve (30 centimetri per 100 giorni), che nel giro di 25 anni passerà da 1.750 a 2.000 metri”. Era a 1.511 metri di quota nel periodo 1961-1990, oggi è a 1.750 metri (un dato conforme a quello determinato dal Centro Geofisico Prealpino per l’area delle Alpi e Prealpi lombarde, vedi sopra) e la velocità di salita in quota si fa sempre maggiore, dunque i 25 anni suddetti potrebbero essere anche meno. Sono dichiarazioni che fanno il paio con quelle rilasciate lo scorso febbraio da Claudio Visentin, storico del turismo di chiara fama, docente da anni al Master in International Tourism dell’Università della Svizzera Italiana (USI) di Lugano, il quale, posta l’attuale realtà ambientale delle Alpi, ha sancito senza mezzi termini che “La stagione degli sport invernali non ha futuro. L’ultimo turista sugli sci arriverà nell’inverno 2040”. Due altri esperti accademici di chiara fama da altrettanti enti scientifici prestigiosi che determinano il quarto e il quinto innegabile (perché scientifico, di nuovo) dato di fatto.
Agatha Christie, la regina del giallo (e del delitto)Potrei anche continuare ancora a lungo, ma penso a Agatha Christie la quale scrisse che “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”: be’, qui siamo a cinque e non semplici indizi ma dati di fatto su basi scientifiche, rispetto ai quali la sostenibilità e la giustificabilità di progetti come quelli dell’Alpe di Paglio (quota massima 1.730 metri) e dei Piani di Bobbio (quota massima 1.850 metri, ma i nuovi impianti proposti sono sotto i 1600 metri) svanisce come – fatemelo dire – neve al sole. Realizzarli equivale a edificare una grande casa su un terreno già oggi instabile e che nel giro di qualche anno, al massimo di qualche lustro, franerà inesorabilmente, nonostante il netto parere di geologie e ingegneri: secondo voi quale impresario si azzarderebbe a mettere in atto una cosa del genere e a spenderci milioni e milioni di Euro? Certamente non chi, in questo caso, operi in base a buon senso, saggezza, lungimiranza e autentica volontà di valorizzazione di quel terreno, di quel luogo. Oltre che, non dimentichiamolo, a avvedutezza di spesa dei tanti soldi pubblici che ci sono in ballo e che alle montagne potrebbero servire per mille altre cose necessarie alla quotidianità dei residenti.

Come vedete – e lo ribadisco con forza – qui non si tratta di “ragionare” sulla questione da posizioni di parte (che, sia chiaro, è certamente legittimo manifestare fino a che non vadano oltre la più ordinaria logica, anche per decenza culturale del dibattito conseguente) ma di fondare il ragionamento su dati scientifici oggettivi e innegabili, dai quali ricavare considerazioni, valutazioni e magari decisioni che al riguardo siano le migliori possibili, cioè le più sensate e conformi alla realtà effettiva delle cose. Non impressioni, opinioni, convinzioni, inesorabilmente contaminate dalle idee dei singoli e delle parti ma certezze ad oggi dalle quali scaturiscono le oggettività di domani.

Ecco, di questo le nostre montagne hanno un assoluto bisogno, oggi ancor più dato che alle già numerose criticità da affrontare si aggiunge in maniera crescente la variabile del cambiamento climatico: certezze, non altro.

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