Un’ora di tempo, quasi. Un’ora del lavoro di una impiegata, della sua collega che ogni tanto staccava per dare un consiglio, 50 minuti abbondanti della persona presentatasi allo sportello per chiudere il libretto, delle persone che in coda che attendendevano il loro turno, tra le quali una doveva semplicemente inviare una raccomandata. Ora sommiamo questi costi, togliamo quelli dei privati in coda, moltiplichiamo per le chiusure di libretti in giro per l’Italia e vediamo questo spreco quanto pesa sul bilancio dello Stato, ossia sul nostro bilancio, perché lo Stato siamo noi e noi lo sosteniamo con le tasse.
Quanto a marketing, Posteitaliane non è da meno di una azienda privata, ma per efficienza possiamo dire lo stesso? E noi italiani davvero meritiamo che i nostri soldi vengano così gestiti?
A scanso di equivoci chiariamo subito che la cliente era la vostra redattrice, che se non fosse stata una giornalista avrebbe comunque scritto una lettera a questo giornale per raccontare l’assurdo e questa testata l’avrebbe pubblicata, come fa sempre con i propri lettori.
Potremmo prendercela con la lentezza della impiegata in questione, ma non è esattamente così. La signora ha semplicemente seguito una procedura lunga da burocrazia borbonica, ottocentesca, per la quale ha dovuto scrivere a mano più volte lo stesso nome, lo stesso indirizzo, il medesimo codice fiscale su una infinità di moduli, per di più con un sistema, quello delle Poste, che all’inizio rifiutava di leggere il proprio di codice identificativo.
Il conto è stato trattato dalle Poste come se custodisse milioni di euro, quando invece prima dell’ultimo prelievo della settimana precedente conteneva appena trecento euro. I livelli burocratici richiesti per l’operazione sono davvero esorbitanti rispetto al valore medio del deposito.
Ecco i fatti
-Una settimana fa viene ritirato tutto il contante.
-Si decide di chiudere il libretto di deposito postale che produce prevalentemente tasse: 35 euro all’anno di prelievo fiscale.
-Allo sportello il documento di identità valido non basta.
-Viene richiesto il codice fiscale, nota non a voce, ma proprio il tesserino. Che la Posta possiede, da quando il deposito è stato attivato.
-A questo punto si attiva la ricerca del faldone cartaceo, benché siamo in epoca digitale grazie alla quale un codice fiscale si possa ricavare in siti banali mettendo nome e cognome e luogo e data di nascita. Il nome, il compleanno e la città dove sono nata non sono mai cambiati in 50 anni di vita.
-Alla fine dopo una decina di minuti la cartella è trovata, ma -ahi – oltre ai documenti propri della titolare contiene anche i documenti di una persona che in passato aveva dato delega al prelievo di un proprio conto. Viene quindi attivato il controllo sulla titolarità del conto (che ricordiamo è a ZERO euro di deposito).
-Dov’è il modulo per la richiesta di estinzione? E non ce n’è. Bisogna fotocopiare l’ultimo esemplare presente nell’ufficio. Minuti che vanno.
-Manca l’aggiornamento della residenza, cambiata nel frattempo ma non indicata (quella nuova).
Alla fine ci si accorge che manca pure la dichiarazione antiriciclaggio. In genere i controlli di questo genere riguardano gli ammontare sopra i mille euro.
Ma qui siamo a zero.
Come la pazienza residua.