PROCESSO PER RAZZISMO. LE DUE PARTI CONTATTANO VALSASSINANEWS



Al telefono la suocera di Ahmed Seye Papa, la signora Fumagalli sdegnata e agguerrita paladina del padre della propria nipotina. “Mio genero dopo essere stato disoccupato aveva finalmente trovato lavoro come aiuto magazziniere ed era felice, sa con una bambina piccola… Ma non sono state rose e fiori, soprattutto perché lui è una persona bonacciona che non reagisce mai, né agli insulti, né agli scherzi pesanti. E così nei quattro anni in cui è stato dipendente lì, le cose sono sempre andate peggio. Lui teneva duro perché non voleva perderlo quell’impiego.” Carmen Fumagalli prosegue citando unghiate sul petto, (mostrate anche al medico di famiglia), gavettoni e pizzicotti. Nel magazzino della ditta edile introbiese lavoravano in tre ed è lì che sarebbe accaduto il tutto.

“Al lavoro di scherzi ne facciamo e ne riceviamo tutti, anch’io sono stato bersaglio di gavettoni. Mai roba da far male” dice uno degli accusati D.B che ha cercato Valsassinanews per precisare che l’episodio del piede schiacciato dall’elevatore menzionato durante una testimonianza non è oggetto di dibattimento.

In effetti come correttamente scritto da Valsassinanews, in tribunale il giudice sta valutando le frasi pesanti a sfondo razzista che sarebbero state rivolte a Seye Papa,  “A suo tempo gli accertamenti di carabinieri ed ispettorato del lavoro hanno stabilito la casualità dell’investimento” prosegue D.B.

“Non fa parte delle accuse. Non si può dimostrare che sia stato intenzionale – conferma Fumagalli. – Credo che Ahmed, con la disabilità con la quale era stato assunto, non avrebbe dovuto essere vicino a un mezzo simile in movimento. Soprattutto mi rimangono a memoria gli anni passati nella sofferenza con ferite che non si rimarginavano, ospedali che ci facevano attendere le cure nonostante le infezioni. Tre operazioni, una immediatamente e una anche al Niguarda di Milano. Ahmed ha perso un piede (completamente deformato), la dignità e il lavoro. Chi era alla guida del mezzo, a parte la prima presenza in ospedale, non si fece più vivo per chiedere come andassero le cose,”. “Restai giù al Manzoni per tutte le cinque ore dell’operazione. Volevo conoscere le conseguenze, mi sentivo in colpa anche se era una disgrazia – spiega dall’altra parte D.B. – poi arrivò la moglie e c’intimò di stare lontani da loro. Mi sono quindi tenuto al corrente attraverso la segretaria della ditta”.

Ahmed alla fine, dopo anni, ha un piccolo lavoro part-time in una cooperativa sociale, "E’ una entrata minima, ma per lui importante”, conclude Fumagalli, supportata in tutta la conversazione dal marito, altrettanto offeso.

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