RESISTENZA VALSASSINESE, UNA STORIA ”DIMENTICATA” AD INTROBIO



Questa storia è giunta a noi tramite nipoti che ricordano dai genitori i racconti dei loro nonni, è un episodio che nel suo piccolo dice molto sulle condizioni in cui vivevano i "ribelli" in valle. In questo caso la storia parla di Introbio, di come il coraggio e l’astuzia di un piccolo uomo, la sua fondamentale conoscenza dei monti lo aiuterà – come in altri casi in Valle – a salvarsi la vita. Il protagonista di questo episodio dimenticato non è mai apparso sui libri di storia partigiana ma, come altri valligiani, si è impegnato in prima persona per la causa della Liberazione, nel suo caso dopo aver combattuto in Albania, in Russia ed aver rischiato di finire in un campo di concentramento tedesco.

Introbio, come tutta la Valle del resto, ha pagato sulla sua pelle il prezzo dell’occupazione nazi-fascista con la distruzione della chiesetta in Val Biandino ma soprattutto con la fucilazione di ottobre in cui sei partigiani furono fucilati e sepolti in una fossa comune nel cimitero, tra i loro nomi Benito Rubini di Casargo e Carlo Cendalli di Vendrogno.

Il nostro episodio si colloca nel tempo vicino a questi fatti, stando ai racconti qualche giorno dopo quando le milizie irruppero in alcune case cercando eventuali partigiani in accordo con i piani di rastrellamento che interessarono tutta la Valle. L’intento era quello di catturare i ribelli,  renitenti alla leva e per spezzare il filo di solidarietà tra la popolazione e le formazioni partigiane.

Nella foto a destra l’ex voto dei partigiani della 55a Rosselli
al Santuario della Madonna della Neve in val Biandino >>>

Una mattina i tedeschi accompagnati da repubblichini, vero spauracchio della popolazione, fanno irruzione in alcune case del paese e conducono una decina di uomini in piazza Pretorio, li schierano contro un muro ed intimano loro di svelare dove si trovi il covo dei loro compagni partigiani, pena la fucilazione. Nel terrore e nelle urla generali uno di loro si fa avanti e si offre di accompagnare le milizie nella tana dei ribelli. 

Nonostante la possibilità di apparire un traditore, "Cecco" si incammina seguito dai repubblichini a fucile puntato. Presa la strada per la val Biandino il piccolo gruppo continua a camminare dietro alla propria guida. La strada percorsa rimane ancora oggi un dilemma, su e giù a caso, sentieri avanti ed indietro guardandosi bene di sfiorare le classiche vie di comunicazione delle staffette partigiane.

Alla fine il cammino si rivela una epopea inutile e senza fine, così facendo Cecco ha dato la possibilità ai suoi compagni di scappare e di guadagnare terreno mentre le milizie giravano senza meta credendo che la guida le stesse portando al loro covo.

La versione ufficiale racconta che nei pressi delle miniere di Camisolo, precedentemente abbandonate dai partigiani, Cecco riuscì a sfuggire ai propri aguzzini e a tornare in Valle per rifugiarsi. I partigiani in fuga, nelle memorie raccontateci, fanno parte della Brigata Rosselli che da metà ottobre ripegò verso la Svizzera partendo proprio dalla val Biandino. La Brigata raggiunse Bondo, il primo paese svizzero dopo il Passo, alle 7 del mattino del primo dicembre. 

In seguito alcuni partigiani furono internati in campi di prigionia svizzeri. Altri riuscirono a fuggire e rientrare in Italia per ricostruire la Brigata e continuare la guerra di liberazione. Nel 1945 la Rosselli, insieme ad altre formazioni, rioccupò la Valsassina ed entrò a Lecco il 27 aprile.
 
 
Nella foto sotto partigiani in ValBiandino e la 55a Rosselli in sfilata a Milano dopo la Liberazione
 
 
 

 

 

 

 

 

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