Tempio, altare, offerte e riti non sono capaci da soli per rendere culto a Dio. Per un culto vivo conta di più il fattore umano, cioè la fede del credente e della comunità, che sono il tempio vivo di Dio, come ripete san Paolo in numerosi brani. Senza disprezzare l’esteriorità delle forme liturgiche, bisogna tuttavia dare il primato dello spirito, alla fede e al cuore; e trasfondere il culto alla vita e la vita al culto, assumendo la dimensione religiosa – cioè orientata a Dio – di tutta la nostra esistenza personale, sociale e politica, pur mantenendone il carattere secolare autonomo.
Ci sono alcuni che identificano la religione con la pratica religiosa settimanale o anche “quotidiana”, oppure soltanto occasionale (battesimo, prima comunione, nozze e funerale). Altri riassumono la loro fede e religiosità nel portare o tenere con sé o in casa oggetti pii. Altri infine, si credono già religiosi per avere sentimenti ancestrali di rispetto verso il sacro, o conoscenze di religione.
Tutto questo ha evidentemente una relazione diretta con la religiosità, ma non costituisce la religione nella sua origine, secondo Gesù. Il vero culto, la religione autentica è una risposta di fede alla rivelazione di Dio e ha due direzioni o movimenti che si intersecano: uno verticale che va da Dio all’uomo e viceversa; e l’altro orizzontale che va dal credente e dalla comunità agli altri uomini, alla vita, alle cose terrene, collegando tutto alla linea verticale. Perciò il culto completo è la religione della vita interna.
E’ uscendo di chiesa ogni domenica, o ogni giorno, che tocchiamo la verità o la menzogna del nostro culto e della nostra religione.
Don Graziano vicario parrocchiale
Domenica 18 ottobre 2015
Dedicazione del Duomo di Milano – “B”
Rito Ambrosiano
Gv 10, 22 – 30