«Oh, il mio Geordie sarà impiccato con una catena d’oro,
non è una catena di molti.
Rubò sedici cervi del Re
e li vendette a Bohenny»
(Child Ballads n. 209 – XVI secolo)
PRA CAINARCA
Siete mai stati a Prà Cainarca? La domanda, ovviamente, è per il forestiero.
Ma se siete andati almeno una volta da Paglio alle Betulle, beh, allora ci siete passati per forza.
Prà Cainarca è quella grande radura circondata da magnifici larici che prelude al Pian delle Betulle: è bello in tutte le stagioni, ma, se accettate un consiglio, andatelo a vedere tra ottobre e novembre quando gli alberi intorno si cambiano d’abito e, abbandonata la moda estiva, trasformano l’ambiente dipingendolo dei più bei colori dell’autunno. Della serie “viviamo in posti bellissimi”.
Fin qui la geografia. Poi c’è la storia. E quindi la cronaca.
E, appunto per la cronaca, a Prà Cainarca c’è un tesoro.
AMILCARE
Due anni e mezzo fa circa (per i più pignoli era il 27 maggio del 2013) ho inviato a Valsassinanews una lettera. In fondo c’era scritto “lettera firmata”: come avrete capito non è che il sottoscritto abbia timore di mettere il proprio nome in fondo a quel che scrive, ma allora mi sembrò più opportuno, vista la luttuosa circostanza, chiedere al Direttore di poter mantenere l’anonimato, anche se poi qualcuno mi ha smascherato egualmente.
“Caro Amilcare”, così iniziava la lettera. Amilcare, molti se lo ricorderanno, era il Cervo più cattivo del mondo, imprigionato a Prà Cainarca in attesa di giudizio.
Amilcare guardava storto un po’ tutti quelli che passavano; non penso gli stessero sulle balle i turisti, piuttosto le stesse gli giravano perché, come dicevo anche nella lettera che lui non ha mai potuto leggere, un Cervo con la “C” maiuscola (almeno quanto lo erano le corna che portava in testa) mal sopportava di vivere rinchiuso.
E un giorno, un Geordie qualsiasi, con tutte le carte a posto e senza rischiare l’impiccagione, lo fece fuori.
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IL PRATO DEL TESORO
Ma torniamo al tesoro di Prà Cainarca.
E’ composto da una casetta in legno (anche piuttosto grande, per la verità), una passerella, una voliera, un ricovero per animali e un recinto di metallo affogato nel calcestruzzo.
Valore del tesoro, più o meno (ma più che meno) 500.000 euri. Chi mi segue sa che mi piace tradurre certi numeri nelle vecchie lire, per cui eccovi accontentati: 968.135.000.
In pratica, tanto per metterci un tre di briscola, un bel miliardo.
L’asse di briscola, come qualsiasi medio giocatore ha già sicuramente indovinato, è che questo miliardo è di soldi pubblici.
Un bella fortuna, insomma. O sfortuna, dipende dai punti di vista.
CHI PAGA?
Per il momento l’unico che ha pagato una colpa peraltro non sua, come abbiamo visto, è stato Amilcare.
Il resto, come al solito, mancia, anzi, manca proprio.
Però, quanto sarebbe bello se venissero fuori una buona volta i nomi e i cognomi: di chi ha avuto l’idea, di chi ha realizzato il progetto, di chi ne ha studiato la sostenibilità dei costi di gestione.
Qualcuno, addirittura, dice in giro che lì dentro gli animali non potrebbero neppure starci.
Di sicuro esperti di un altro parco faunistico (uno di quelli che vanno per la maggiore) hanno decretato tempo fa l’assoluta insostenibilità sotto il profilo gestionale del recinto di Prà Cainarca e, come volevasi dimostrare, la cooperativa che lo avrebbe dovuto gestire è finita in liquidazione lasciando il comune di Margno in braghe di tela con il buon Giuseppe Malugani costretto ad alzare bandiera bianca e lanciare un disperato SOS.
In attesa che qualcuno lo raccolga, mi è venuta in mente un’altra domanda che forse anche voi vi siete fatti.
Ma alla Fornace, una volta spesi 1.200.000 euro (2 miliardi 323 milioni e 524 mila lire), cosa mai ci metteranno dentro?
Buona domenica.
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Benedetti
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