Ave Maria, che ci congiungi a Dio,
scelta tra la bellezza del genere umano
ricorda di non abbandonare
la tua natura, ma riportaci graditi a Dio.
Con noi spezzò il pane.
Santa Maria insegnaci
ad accettare tutto con umiltà. Ah!
(“Ave Maria “Guarani“ – Mission – Ennio Morricone – 1986)
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Un posto in mezzo al Brasile 15°50’33” S 54°23’20”W
Bambini che accompagnano la mamma. La mamma è malata, non ce la fa più. Hanno 30 chilometri di cammino alle spalle, davanti la speranza, la porta di un ospedale.
“Avete soldi?” chiede l’uomo che apre la porta. “Abbiamo solo la mamma che sta male” rispondono i figli.
La porta si chiude. Un po’ come quelle degli alberghi di Betlemme.
Due preti assistono impotenti alla scena. Probabilmente la loro rabbia vorrebbe trasformarsi in pianto ma sanno bene che da quelle parti è inutile versare lacrime, asciugherebbero subito tra la povertà e la miseria.
Uno dei due, però, trova la forza di parlare e dice all’altro “Devo costruire un ospedale”.
Un posto a nord dell’Italia, 46°00’N 9°23’E
Domenica scorsa. Chiesa piena. Tre preti dietro all’altare.
Accanto a loro il ritratto di un altro prete. Non sembra, ma lo è.
E’ il prete che ha costruito l’ospedale (e molto altro ancora) in un posto in mezzo al Brasile.
Lo zio Augusto guarda la foto. “Al vedet? Al lavorava gio alla Fusinèta”. La “Fusinèta” era il regno incontrastato del nonno Santi.
Scopro così che il prete sulla foto aveva lavorato anche lì, tra i rasch, i magli e il nerofumo sul viso.
Poi, evidentemente, devono essere successe tante cose. Le vite cambiano e ci cambiano, prendono strade che al principio sembrano impraticabili, soprattutto se sei figlio di un Efrem e di una Liduina e nasci in un paese che non è propriamente al centro dell’Universo.
Ma ci sono uomini che quando sanno cosa vogliono riescono ad ottenerlo anche se vivono ai confini delle galassie, anzi, aggiungo, proprio perché vivono lì e non in altri quartieri.
E succede che da un margine del mondo il prete sulla foto accetti di farsi trascinare dai venti della Provvidenza verso altri precipizi di umanità, gente lontana, gente che parla altre lingue, gente che ha conosciuto il disastro delle conquiste in nome di re sconosciuti e delle loro pallide regine, e di una croce la cui forma veniva spesso confusa con quella della spada.
La sera in cui da Brigolda (che poi è il posto dove sono nato) mi hanno detto che il prete sulla foto si era finalmente andato a riposare vicino a quel Dio che, invece, la croce la tiene sempre ben alta pur essendoci stato inchiodato sopra, ho pensato che non avrei avuto la forza di scrivere nulla di questo gigante di uomo.
In settimana, però, ho cambiato idea: da cortenovese non potevo non ricordare un Cortenovese, soprattutto vedendo tanta gente che viene celebrata con applausi, commemorazioni, messe epocali, cori e striscioni, talk show, pagine di giornali, laiche e opportunistiche santificazioni.
E magari ci dovremmo interrogare sul perché di tanto baccano.
Il prete sulla foto, quel Cortenovese, invece, è stato salutato dall’Ave Maria di Lourdes e da una storia vera in versi scritta da un poeta brasiliano, capace di entrare furiosa come il vento del nord ed insieme dolce come la carezza di un Missionario nelle nostre coscienze troppe volte distratte – e distrutte – dal fracasso del mondo.
Riuscendo a farci piangere quelle lacrime che avrebbe voluto lasciar scorrere davanti alla porta chiusa di un ospedale.
Buona domenica.
Riccardo
Benedetti
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Ballata
E il bambino si è fatto uomo
E prete è diventato
Fino ad essere temerario
E verso il grande Brasile è volato.
Non volle cattedrali grandiose
Non mirò a carriere curiali
Non cercò di sedere su cattedre
Ma solo volle di povera gente essere Padre.
Non si fece medico ma curò gli ammalati
Non divenne ingegnere ma costruì tante case
Non era avventuriero ma la foresta affrontò
Voleva solo incontrare persone che in salvo portò.
L’ho visto indossare povere vesti
L’ho visto salire l’altare con scarpe imbrattate di calce
L’ho visto andare a cavallo bruciato dal sole
L’ho visto benedire con gioia la povera gente.
L’ho visto correre insieme ai bambini
L’ho visto lavorare da muratore provetto
L’ho visto insegnare in scuole lontane
Io indaffarato sempre l’ho visto.
Conosco l’ospedale da lui costruito
Conosco le chiese che a Dio ha innalzato
Conosco opere d’arte preziose che qui ha portato
Conosco la piccola stanza dove stanco riposa.
So che di ferro non è
So che parla senza parole
So che piange in silenzio da solo
So che prova dolore e fatica
Per questo ancora l’ammiro
Perché invecchia senza mai essere vecchio
Per il suo fare, senza aspettarsi riconoscenza
Per il suo “non chiacchiere ma fatti”
Quando tanti incrociano le braccia.
Chi sono io per sapere così tanto di lui?
Sono la gente di Poxoreo che passa
Che ammira le meravigliose sue opere
Che non sempre manifesta il coraggio
Di esprimere gratitudine e omaggio.
(Edinaldo Pereira de Sanza – 13.11.2002)
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